C’è uno stravagante Paese dove la classe politica ha preso la storia di Penelope e ha pensato di farne una finction istituzionale. Un Paese bizzarro al punto da spasmodicamente concentrarsi sull’ombelico di come ripartire i seggi in Parlamento mediante furbissimi e cervellotici meccanismi (nessun problema: poi arriva Casaleggio jr con i suoi algidi algoritmi e tutto si risolve) lasciando sullo sfondo fino allo sbiadimento questioni effettivamente minori come la lotta al terrorismo di marca jihadista, la messa in sicurezza dei conti pubblici, la corruzione endemica, l’immigrazione clandestina. Falotico in modo tale che dopo aver per decenni alacremente quanto inutilmente discettato sulla necessità di rivedere gli asmatici ingranaggi dell’intelaiatura del sistema costituzionale, alla fine trova la (opinabile?) sintesi su come cambiarli ma invece di discutere delle modifiche da confermare con un referendum si ingegna a parlare d’altro: del destino personale e politico di chi le ha messe in campo; della convenienza per questo o quello schieramento a schierarsi per il Sì o per il No; della riforma elettorale che alla revisione costituzionale è collegata. Solo che i cittadini su quest’ultima non voteranno mai, e dunque tanti belluini e incrociati anatemi sono condannati a non troverare alcuno spazio sulla scheda referendaria. Un Paese, infine, bizzarro oltre limite visto che chi dal Colle più alto e con il massimo di suasion possibile quella stessa riforma elettorale ha reclamato e difeso, ora ne invoca l’amputazione della parte più innovativa: il ballottaggio. Che il premier che l’ha imposta a colpi di voti di fiducia usati come arma impropria, adesso mostra di disinteressarsene rimettendo il tutto nelle mani di quel medesimo Parlamento che ha stretto nella morsa impositiva dello scrutinio palese. Che Pd (una parte), FI (idem) e Ncd (tutta) che l’hanno in un primo tempo con assoluta tranquillità sottoscritta, nel prosieguo si sfarinano in una nevrotica pletora di proposte emendative. E per ultimo che chi l’ha fieramente contrastata come i Cinquestelle ora fa il cane da guardia dell’esistente al grido di “gli altri l’hanno fatta, guai chi ce la tocca”. Con il bel risultato di agguantare un nuovo primato italiano: cassare un sistema elettorale prima ancora di averlo messo all’opera. Geniale.Si potrebbe continuare ma forse è meglio fermarsi, tanto il concetto è chiaro. In un Paese che sembra aver perso ogni bussola, anche quella del buon senso, e che pare perfino compiacersi nel navigare a vista, fa lo stesso impressione leggere le parole dell’ex capo dello Stato che reclama la necessità di rivedere l’Italicum «perchè da quando è stato concepito le cose sono cambiate e il tripolarismo è la nuova caratterizzazione del sistema politico». Sconcerta considerare che il tripolarismo c’è almeno dal 2013, quando i tre partiti principali presero circa lo stesso numero di voti; che l’Italicum è stato messo a punto con alle spalle esattamente lo scenario tripolare e che proprio Napolitano, il 13 aprile 2015, invitava all’approvazione della riforma «perchè non si può tornare indietro e disfare quel che è stato faticosamente costruito», visto che legge elettorale è necessariamente «una legge di compromesso». Nel ripensamento di Napolitano c’entra forse il fatto che alle amministrative in 19 ballottaggi su 20 l’M5S ha sconfitto il Pd?Peraltro - e per coincidenza nello stesso giorno - un ulteriore senso di smarrimento arriva leggendo le considerazioni dell’ex numero due istituzionale di Napolitano: il già presidente del Senato Renato Schifani. Il quale in una intervista dove motiva la decisione di dimettersi da capogruppo Ncd a palazzo Madama, candidamente avverte: «Dubito che si possa mettere in discussione il doppio turno». Magari i due potevano prima telefonarsi per mettersi l’un l’altro in guardia. O magari ha semplicemente ragione il “sinistro” pd Roberto Speranza quando sparge vetriolo: «Se fossi Grillo, ringrazierei Renzi. Sta consegnando il popolo ai populismi».Chissà. Forse è semplicemente che l’Italia è preda di una irrefrenabile fascinazione per l’entropia. Da queste colonne, Giulio Tremonti ha spiegato che il nuovo Senato sancito dalla riforma Renzi-Boschi sarà preda dell’anarchia e dell’ingovernabilità. Caratteristiche che a ben vedere sono già ampiamente presenti sul palcoscenico della politica: e la riforma non è ancora in vigore. L’unica consolazione è che sul referendum si voterà a ottobre inoltrato e forse addirittura a novembre. Quando cioè il sole estivo avrà del tutto sfumato i suoi raggi e il fresco autunnale favorirà, è l’augurio, indispensabili resipiscenze.