Ancora l’arbitro non ha fischiato l’inizio e già si invoca il Var, già si contesta la direzione di gara. Ecco il clima in cui stamattina a Montecitorio, dalle 11.30, l’Ufficio di presidenza della Giunta per le autorizzazioni affronterà per la prima volta il dossier Almasri. Nell’organismo presieduto, come consuetudine, da un deputato d’opposizione, e cioè da Devis Dori di Avs, la prima “cabina di regia” si limiterà a definire un calendario di massima, a dare un termine ai gruppi perché indichino i nomi da audire, e a decidere come acquisire le versioni dei tre componenti del governo sotto accusa: Carlo Nordio, Matteo Piantedosi e Alfredo Mantovano.

Ma prima ancora di mettere a punto la tabella di marcia, che dovrebbe concludersi di qui a 30 giorni con la relazione da sottoporre all’Aula della Camera, si è già aperto un caso per la scelta del relatore. Com’è noto, la scorsa settimana Dori ha comunicato di aver attribuito l’incarico a un altro parlamentare di minoranza, il capogruppo dem in commissione Giustizia ( nonché vicepresidente della stessa Giunta per le autorizzazioni) Federico Gianassi.

Come riportato ieri in un ampio retroscena del Foglio, l’incognita di un dossier così scottante affidato a un avversario ha fatto rabbrividire un bel po’ di esponenti del centrodestra, e di Fratelli d’Italia in particolare. I quali, scrive il quotidiano diretto da Claudio Cerasa, sarebbero piuttosto delusi dal presidente della Camera, Luciano Fontana, troppo “leggero”, secondo questi rumors, tanto da non costringere Dori a recedere dai propositi e nominare un relatore della maggioranza.

Ieri il presidente dei deputati meloniani Galeazzo Bignami ha smentito le «notizie di stampa» con una nota piuttosto diplomatica: «Mi preme confermare a nome del gruppo Fratelli d’Italia la piena fiducia verso il Presidente della Camera che come sempre è garante del corretto funzionamento dell’Istituzione. Non sussiste alcun dubbio sulla capacità di garantire che il funzionamento dell’attività della Camera si svolga nel pieno rispetto del regolamento e delle procedure».

D’altronde regolamento e procedure non avrebbero affatto consentito alla terza carica dello Stato di imporre a Dori un relatore di centrodestra. Nei giorni scorsi, lo stesso presidente della Giunta per le autorizzazioni – avvocato di professione, spesso capace di valutare con una propria autonomia critica, rispetto ad Avs, i provvedimenti in materia di giustizia – aveva così spiegato la nomina di Gianassi: «Ricordo che la prassi di questo organismo, dal 1989 ( cioè dall’introduzione del Tribunale dei ministri) a oggi, ha visto in quasi la totalità dei casi il ricorso a un solo relatore, e in vari casi il presidente ha attribuito l’incarico a un esponente della minoranza. Ho ritenuto dunque che la scelta di un relatore di minoranza sia coerente con la consolidata consuetudine». In ogni caso, non c’era via d’uscita: è chiaro che Gianassi non sarà tenero con Nordio, Piantedosi e Mantovano – ha già espresso a più riprese giudizi severissimi sulla gestione del caso Almarsi – ma è vero pure che se il centrodestra si fosse cucito la relazione “in house”, a firma di un proprio parlamentare, il centrosinistra avrebbe accusato gli avversari di aver garantito “l’impunità” ai tre esponenti dell’Esecutivo per i quali il Tribunale dei ministri ha chiesto, lo scorso 5 agosto, l’autorizzazione a procedere.

La verità è che l’autunno caldo del caso Almasri è un destino ineluttabile, per il governo. Le settimane di qui a venire saranno in gran parte egemonizzate dai lavori e dai riverberi incandescenti della Giunta di Montecitorio. È chiaro anche che al centro della tempesta mediatica tornerà la capo di Gabinetto di Nordio Giusi Bartolozzi. Ed è ancora più evidente come la graticola su Almasri sia una ghiottissima occasione, dal punto di vista dell’opposizione ma anche della magistratura ( generalmente intesa), per indebolire l’immagine del guardasigilli, autore della riforma che separa le carriere di giudici e pm, e perciò, già da tempo, bersaglio prediletto degli avversari.

In ballo, insomma, non c’è l’eventualità che Nordio, Piantedosi e Mantovano (la posizione della premier Giorgia Meloni è stata sorprendentemente archiviata dal Tribunale dei ministri) finiscano davvero a processo. Se, com’è probabile, Gianassi sottoporrà al voto della Giunta di Montecitorio una relazione favorevole alla richiesta dei giudici, è altrettanto scontato che il centrodestra boccerà l’ipotesi, chiederà la nomina di un nuovo relatore e che, a quel punto,

Dori dovrà necessariamente assegnare l’incarico a un esponente della maggioranza. Ne deriverà una relazione contraria al processo per i due ministri e per il sottosegretario, che sarà approvata in Giunta e trasmessa all’aula di Montecitorio. Servirà quindi un altro mese ancora per pronunciare la decisione definitiva, che sarà certamente contraria al processo per Nordio, Piantedosi e Mantovano. Ma al cuore della telenovela c’è l’opportunità di attaccare il ministro della Giustizia e la sua capo di Gabinetto, di azzopparlo dunque in vista del referendum sulla separazione delle carriere e, dal punto di vista dell’opposizione, di sperare in un clamoroso successo del No alla consultazione confermativa. Scenario improbabile che però, nell’orizzonte di Meloni in vista delle Politiche 2027, è certamente il peggiore degli incubi.