C' è una guerra che minaccia di estendersi, un Pnrr che marcia a rilento, una revisione del Patto di stabilità che potrebbe condannare l'Italia al commissariamento di fatto: tutti problemi importanti ma sui quali la maggioranza non s'infiamma nonostante le divisioni ci siano, tenute faticosamente a bada. Ma sulle nomine il discorso cambia, lì c'è di mezzo il potere reale, concretissimo e lì non si tratta più di confronto tra partiti ma di una partita di potere giocata in prima persona dai pezzi da novanta del governo. É quella partita, più ancora dell'eterna sfida tra la premier e Salvini, che ha decretato due giorni fa la fumata nera per le nomine dei nuovi comandanti della Guardia di Finanza e della Polizia.

La sceneggiatura parla da sola. Alfredo Mantovano (FdI), sottosegretario alla presidenza del Consiglio, aveva e ancora mantiene in pole position il suo candidato per la Gdf, il vice comandante Andrea De Gennaro, fratello dell'ex capo della Polizia Gianni. Giorgetti, a cui spetta la proposta, gli aveva contrapposto Umberto Sirico, comandante dei reparti speciali della Gdf. É probabile che il ministro dell'Economia mirasse a frenare l'ascesa fulminea e irresistibile del sottosegretario, oggi forse la figura di maggior potere all'interno del governo. Ma le partite delle nomine sono tutte intrecciate e la Lega, dopo aver costretto la premier a mediare sulla grandi partecipate, mira a rinsaldare la presa sulle Ferrovie. Quali che fossero le sue motivazioni, giovedì mattina il ministro dell'Economia era a un millimetro dal semaforo verde per De Gennaro. Poi è arrivato Crosetto, ministro della Difesa e fondatore con la premier di FdI.

Fino alle elezioni Crosetto è stato il dirigente di FdI più autorevole, quello più vicino alla leader e il più ascoltato. Dopo la nascita del governo e la conquista del ministero della Difesa però qualcosa è cambiato, nonostante le puntuali smentite di qualsivoglia tensione. Di fatto però Crosetto non sembra più figurare nella cerchia dei fedelissimi della leader e sul Pnrr ha vibrato una stoccata micidiale, mettendo in dubbio la possibilità di spendere tutti i fondi del Pnrr e di conseguenza anche l'opportunità di accedere all'intero prestito: posizione peraltro assunta, sia pure con una tattica di stop- and- go, di dichiarazioni seguite da rapide quanto effimere smentite, anche dalla Lega. Proprio Crosetto si è presentato giovedì mattina da Giorgetti dicendo chiaro e tondo che intendeva negare il necessario concerto alla nomina di De Gennaro. A quel punto anche Giorgetti ha puntato i piedi e neppure una lunghissima trattativa con la stessa Giorgia Meloni ha potuto evitare la fumata nera.

Inevitabilmente la coltre di fumo scuro ha avvolto anche la nomina del capo della Polizia, strettamente collegata a quella del vertice della Gdf. Anche qui le appartenenze politiche pesano sì ma meno della competizione tra i governanti più potenti. Il ministro degli Interni Piantedosi, quota Lega, puntava a non rimuovere l'attuale capo della Polizia Lamberto Giannini fino alla scadenza del suo incarico. Invece è prevalsa l'idea di rinnovare i due vertici contestualmente e in campo è irrotto Vittorio Pisani, oggi numero 2 dell'Aifa, sponsorizzato soprattutto da Salvini, cioè dal “padre politico” di quel Piantedosi che invece punta ancora a mantenere al suo posto fino all'ultimo Giannini. Insomma, il tradizionale mercato delle nomine, basato sulla contrattazione tra i partiti della maggioranza, stavolta pesa sì ma meno del solito. Prevale invece il braccio di ferro tra i pesi massimi del governo e della maggioranza. Il quadro tornerà alla normalità, cioè a una trattativa serrata e probabilmente molto tesa, quando si arriverà alla Rai, che per i partiti di ogni tendenza è sempre il frutto più ambito.

La legge ad hoc varata giovedì per garantire la buonuscita dell'ad Rai Carlo Fuortes, in poltrone sonanti verso la guida del San Carlo di Napoli, non chiude infatti la partita. Al contrario è solo il passaggio necessario per avviare un gioco che sarà durissimo.