Arriverà domani mattina il via libera del Senato al decreto Migranti, dopo che oggi sono stati votati gli oltre quattrocento emendamenti al testo presentati da maggioranza e opposizione. Il provvedimento verrà poi trasmesso alla Camera per il via libera definivo, atteso nelle prossime settimane.

Quella a palazzo Madama è stata una seduta fiume, tra sospensioni, colpi di scena e accuse reciproche di aver «violato i patti» tra il Pd e il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani. Il tutto nelle stesse ore in cui a Montecitorio il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, rispondeva al question time sullo stesso decreto Cutro, e la segreteria del Pd, Elly Schlein, nella sua prima conferenza stampa al vertice del Nazareno accusava il governo di «cercare di portare l’Ungheria in Italia».

Il caos è cominciato in mattinata, con il ritiro da parte del governo del cosiddetto emendamento “canguro”, che secondo il Pd riscriveva «di fatto» una cospicua parte del testo. Dopo la respinta delle questioni pregiudiziali sul decreto, con 93 voti contrari e 67 favorevoli, e un’ulteriore sospensione per consentire alla commissione Bilancio di esprimere i pareri sugli emendamenti, la seduta è ripresa con la discussione generale e il voto sugli stessi emendamenti. E qui è cascato l’asino, con il caos su quello a firma del senatore azzurro Maurizio Gasparri, sulla protezione speciale per i migranti.

Il testo dell’emendamento prevedeva la soppressione del rispetto degli obblighi internazionali della Carta di Nizza e della Carta europea dei diritti dell’uomo, un dettaglio che avrebbe reso con ogni probabilità incostituzionale la norma. Dopo l’ennesima sospensione Gasparri ha così deciso di riformularlo, togliendo il riferimento alle norme comunitarie. «Forse la maggioranza e il governo hanno capito che a questi obblighi internazionali di rispetto dei diritti umani non possiamo sottrarci», ha spiegato nel suo intervento il senatore dem Andrea Giorgis. Dopo un caos durato diversi minuti il governo ha infine espresso, ovviamente, parere favorevole sull’emendamento riformulato e la discussione è proseguita regolarmente.

Di protezione speciale aveva parlato poche ore prima anche Piantedosi alla Camera, spiegando che «solo una limitatissima percentuale, intorno al 5 per cento dei permessi rilasciati, è stata convertita in permessi di lavoro». Per il titolare del Viminale, che ha incontrato l’omologo olandese Eric Van der Burg e che ha ricevuto una richiesta di faccia a faccia dalla conferenza Stato-Regioni per discutere alcuni aspetti del decreto, i dati espressi testimonia «l’inidoneità dell’istituto nel favorire reali percorsi d’integrazione del migrante nella nostra società, divenendo, in buona sostanza, un fattore distorsivo delle regole di ingresso e soggiorno previste dal nostro ordinamento». Insomma, secondo Piantedosi la norma è diventata una regola, «mentre avrebbe dovuto costituire una ipotesi di eccezione», e per questo il governo vuole che torni a essere uno strumento «di tutela piena ed effettiva per le persone che fuggono da reali e oggettive situazioni di pericolo» e non «un espediente per eludere le regole in materia di ingresso e soggiorno sul territorio nazionale».

Parole che non hanno affatto convinto la segretaria del Pd, Elly Schlein, secondo la quale «quello che stiamo vedendo è pure peggio di quanto avessero fatto i decreti Salvini» e per questo il Pd si batterà «contro l’abolizione della protezione speciale». Schlein ha poi attaccato direttamente la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, dandole della bugiarda «perché sono 18 i Paesi che hanno questa forma di protezione» e definendo «surreale» mettere in contrapposizione il lavoro delle donne con i migranti. «Dai tempi della Bossi-Fini la strategia della destra è sempre stata scrivere norme criminogene che aumentano l’illegalità per poi cavalcare quelle irregolarità - ha commentato - Noi dobbiamo fare ogni sforzo perché ci sia piena inclusione per chi arriva e che abbia via d'accesso legali e sicure».

E c’è stato spazio anche per il secondo tempo della polemica sulle parole del ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, sulla «sostituzione etnica», che non può essere la soluzione al calo delle nascite. «La mia era ignoranza, non razzismo», ha cercato di difendersi lo stesso Lollobrigida, ma dalla Lega si sono alzate alcune voci di dissenso, con il capogruppo al Senato Massimiliano Romeo che ha definito quella del ministro «un’espressione che indubbiamente si presta a delle polemiche». Compatto il sostegno di Fratelli d’Italia, che parla di «strumentalizzazione» da parte delle opposizioni.