Giornata al cardiopalma con Maurizio Gasparri. Siamo nello sciame di formiche molto operose che lo segue ovunque. Nel suo ufficio in Senato, in ascensore, persino in infermeria (ma noi lì ci fermiamo). Poi nell’auto blu e infine a un evento al quale il senatore presenzia (qui invece ci torniamo). Il vero cruccio di Gasparri è avere una «agenda impossibile». «Ho l’angoscia del tempo», ammette sfinito e sono appena le 11 del mattino.

Il punto non è neanche l’impegno al Senato, «la mia casa è la politica». Per il resto avanza poco. Ma può darsi che vi dia appuntamento al telefono anche a mezzanotte: siccome non è riuscito ad allungare le giornate, ha deciso di abolire il sonno. Poi metteteci che Gasparri vive a Roma. E chi si muove nel gorgo infernale della capitale imbrigliata tra i cantieri, e i presidi, e i turisti che avanzano col passo dei Visigoti, capirà di cosa parliamo.

Roma è gigante ma Gasparri, in realtà, si è mosso dentro un quadrato. Lo racconta lui ricordandosi di una vecchia intervista con Minoli, che voleva ripercorrerne i passi: stanno tutti dentro una porzione di mappa. Dal Liceo Tasso alla sede dell’Msi, via Sicilia-via Livorno. Poi dirigente del Fronte della Gioventù, via Sommacampagna (piazza Indipendenza). Giornalista al Secolo d’Italia, via Nazionale. Direzione Msi: via Quattro fontane. E infine il Parlamento, si capisce. «Ne ha fatta di strada», dice Minoli. «Ma mica tanta!», risponde Gasparri.

Questo per dire dell’umorismo di cui il senatore è dotato, oltre che di quel fascino che lo ha reso agli occhi di sua moglie attraente come Al Pacino. Il quale, diciamolo, «è più bravo che bello. È uno che c’ha una faccia complicata». Gasparri ci mostra anche la foto, dovessimo non riconoscergli che il giovane attore e il giovane militante erano due gocce d’acqua. In comune i due, dunque, hanno la bravura. Virtù che per il politico si declina nell’efficienza: Gasparri si dice un pragmatico.

Vanno bene le chiacchiere, ma quagliamo. Vale anche per l’amico Antonio Tajani, col quale ha cominciato tra i banchi di scuola. Certo c’erano già la «famiglia, la tradizione patriottica e l’ambiente militare». Ma quegli ideali Gasparri li ha messi in pratica con la militanza al liceo. 67 anni lui, 70 Tajani, nel 1972 i ragazzi si sono dati da fare e si sono stretti la mano. Il leader azzurro, allora giovane monarchico del Fronte della gioventù, oggi capita spesso a Bruxelles, ma se Gasparri da Roma deve decidere qualcosa lo fa senza problemi, tanto l’altro si fida. «E viceversa», assicura l’oggi capogruppo di Forza Italia al Senato. Glielo ha richiesto Antonio «perché ha bisogno di persone con le quali non c’è bisogno nemmeno di parlare: io so come la pensiamo, so quello che pensa lui, e se qualche volta ho un’opinione diversa glielo dico, se poi bisogna fare in un certo modo arriva un momento in cui bisogna fare in un certo modo». Capito? Lo abbiamo detto che Gasparri è un pragmatico. Anche «generoso e disponibile»: lo abbiamo visto impegnato contemporaneamente in almeno tre conversazioni.

«Mi assumo la responsabilità di dire a chiunque quello che va detto, fosse anche il Presidente della Repubblica». Non sta a filosofeggiare, Gasparri, il che è anche un peccato data la voce graffiata di cui può vantarsi. Ma questo pregio è anche una condanna, per il senatore, che poi subisce «attacchi e conseguenze». «Ma non me ne frega niente, perché ho 9 legislature alle spalle, 67 anni: il numero delle persone che possono andare a quel paese è sterminato, non ho problemi». Agita un fascicolo. «Cafiero de Raho domani (oggi, ndr) avrà una giornata difficile».

Insomma, Gasparri ha un po’ il compito di dire le cose come vanno dette, fuori dalla postura istituzionale. Ci ha allenati su Twitter, col quale però deve aver litigato per non scontrarsi contro un muro di querele fatte e ricevute. «Ma no, è che ho meno tempo. Se l’avessi manderei a quel paese un sacco di gente, quindi forse è un vantaggio», dice del social sul quale un tempo era scatenato e ora tutto posato. Gli ricordiamo del post su Obama. «Il peggiore Presidente della storia degli Stati Uniti». E di quello contro le due ragazze rapite in Siria. Se ne pente? «Ma sì, quello era un retweet…». Comunque «dettagli irrilevanti per giudicare quello che sono». Allora entriamo nel merito.

Qualcosa che lo contraddistingue è l’impegno contro le droghe. «C’è un ragazzo che mi chiama un giorno sì e uno no, dice che gli fa bene parlare con me. Faccio parte della sua cura e io gli do la precedenza. Non si può dire solo no alla droga, bisogna aiutare quelli che ci cascano dentro. Qui c’è gente che vuole legalizzare le droghe e non ha mai parlato con una persona che ha problemi, sono posizioni ideologiche». E le sue? «Sono molto flessibile. Ho le mie idee: sono un patriota, credo nella vita e nella famiglia. Poi nella politica capita di fare delle mediazioni».

Ne approfittiamo per sapere della curiosa abitudine di presentarsi il primo giorno di ogni legislatura con una proposta di legge sulla capacità giuridica del nascituro. Lo deve a Carlo Casini, deputato cattolico, capo del Movimento per la vita, che gli chiese di portare avanti questa sua battaglia. Un omaggio, diciamo. «Non verrà mai approvato credo». Non ci crede neanche lei? «Credo al principio. So della difficoltà della discussione: mi accontenterei che si applicasse la prima parte della legge 194». Ora vuole occuparsi di una proposta di legge sul reddito di maternità.

Ma insomma questo aborto è un diritto o no? «Io ritengo che sia un dolore, una tragedia e quindi il tema non lo affronterei come diritto». Gli facciamo la domanda più banale che si fa di solito al generale Vannacci: e se a sua figlia, ingegnere di 27 anni che «ha fatto tutto da sola», piacessero le ragazze? «Non avrei alcun atteggiamento repressivo, le chiederei se è una scelta di vita oppure un’infatuazione». Ma mo basta co’ sti diritti. «Il primo diritto è la vita, se uno non è vivo non ha nessun diritto». Vabbè. Allora torniamo alle idee. Dunque torniamo al padre, generale dei carabinieri. «Sono cresciuto nelle caserme». È una tradizione di famiglia, anche il fratello è militare.

Gasparri invece si è diviso per un po’ tra politica e giornalismo puntando alla prima, col fortunato incontro con il suo maestro, Giuseppe Tatarella. Colui che ha «costruito la casa». Poi il «Big Bang». La folgorazione Berlusconi. La fusione con Alleanza Nazionale di Gianfranco Fini. All’inizio aveva «aderito con convinzione alla costruzione di un partito unitario, il Pdl. Quando Fini l’ha sfasciato, ho seguito un percorso con Berlusconi, mi sembrava anche un modo di rendere onore a un mondo di destra», che il Cav ha fatto uscire da «un ingiusto isolamento».

Con Berlusconi, Gasparri ha condiviso tanto e a metà il garantismo, avendo vissuto da vicino la «persecuzione giudiziaria» nei suoi confronti. «Ma sono molto attento anche ai principi di legge e ordine, quindi sono anche per la punizione severa dei colpevoli». D’altronde tutte le leggi più severe sulla mafia le hanno fatte in «pieno accordo», come rafforzare il 41bis.

Per tornare al padre e alla militanza, oggi nei ragazzi che vanno in piazza non sempre si riconosce. «Se menano ai poliziotti, no». E se a menare sono i poliziotti? «Dipende, la polizia ha sempre ragione». Altre passioni da segnalare? La musica. «Sono contento di conoscere Venditti, Baglioni, Bennato, Albano…». E poi ovviamente la Roma, il calcio, «le figurine Panini, di cui sono un cultore». Finalmente siamo arrivati all’evento: presentazione dell’associazione Giornaliste italiane. Gasparri ne è circondato. Le piacciono anche le donne, eh? «E certo, che domande mi fa…».