«Viviamo in un’era in cui tutto ciò che ci definisce è sotto attacco. Questo è pericoloso per la nostra identità nazionale, per la famiglia, per la nostra religione. Senza questa identità siamo solo dei numeri senza una consapevolezza, strumenti nelle mani di chi ci vuole usare». Serve «una grande battaglia per difendere le famiglie, significa difendere l’identità, Dio e tutte le cose che hanno costruito la nostra civiltà». L'evoluzione politica della destra italiana, quella che voleva sedersi nel salotto buono dell'Europa insieme ai Popolari, si è fermata a Budapest. È nella patria di Viktor Orban, infatti, che Giorgia Meloni pronuncia frasi dal sapore nostalgico e identitario, intervenendo al “Demographic Summit” organizzato in terra magiara.

La destra conservatrice meloniana, la destra presentabile da contrapporre alle varie Marie Le Pen e Alice Weidel, fa un'improvvisa inversione a U per ritornare al “Dio, patria e famiglia” dei tempi andati. L'abito moderato indossato durante questi undici mesi a Palazzo Chigi per rassicurare i «tecnocrati» di Bruxelles è stato riposto in cantina al primo soffio di vento. Perché con l'irrigidimento franco-tedesco sulla gestione dell'accoglienza, con l'apparente ritorno di fiamma tra Popolari e Socialisti in Europa in vista anche della prossima legislatura e con le difficoltà interne sul fronte economico Meloni sembra dover rinunciare all'ambiziosa scommessa su cui aveva puntato tutte le sue fiches politiche: diventare l'ago della bilancia del futuro assetto europeo e rivoltare come un calzino il governo del Vecchio Continente.

Alla premier italiana non resta che trovare in fretta un “piano B” in caso di fragoroso fallimento. E quello più abbordabile, quello più semplice, potrebbe essere proprio la riproposizione dell'alleanza con i paesi di Visegrad (Ungheria, Polonia, Repubblica ceca e Slovacchia), gli interpreti più concreti di quello che fu il “cattivismo” europeo, gli stessi che da sempre sabotano la politica dei ricollocamenti invocata dall’Italia. Meloni potrebbe avere ancora bisogno di loro per spaventare i Popolari. Di tutti loro, Orban compreso, finito ai margini persino del blocco di Visegrad per le sue posizioni sulla guerra in Ucraina ritenute troppo “clementi” con Putin.

Ma la fase è cambiata e il vecchio amico Viktor può finalmente essere sdoganato e magari accolto col suo Fidesz (partito rimasto orfano d’appartenenza dopo il divorzio dal Ppe) nella grande famiglia dei Conservatori europei. E con Salvini e Le Pen a fare da controcanto la destra europea potrebbe provare a terremotare i vecchi equilibri a spallate. Certo, l’operazione è particolarmente pericolosa per chi non guida più solo un piccolo partito d’opposizione ma si trova a governare una delle economie più grandi del pianeta: il rischio isolamento, con tutto ciò che comporta (a partire dalla riforma del Patto di Stabilità) è dietro l’angolo. E per difendere la «famiglia», come dice la nostra premier, servono risorse che l’Italia, da sola, non ha.

Eppure la premier italiana, pressata in Patria dalla competizione con la Lega, sembra non voler rinunciare a giocare pure sul tavolo impolverato del sovranismo. Meloni non rinuncia dunque a essere la «donna, la madre, la cristiana» dei comizi da battaglia e lo rivendica dal palco di Budapest, dove l’Ungheria viene descritta come «un esempio» da seguire.

Orban gradisce e ringrazia. Negli ultimi anni «è successo di tutto e di più», dice il presidente ungherese. «Siamo all’ombra di una guerra, ma sono successe anche cose buone: Meloni e la destra italiana hanno vinto le elezioni in Italia, è fantastico. Dobbiamo riconoscere che qui a Budapest mai ci saremmo aspettati che ci sarebbe stato un governo italiano patriota, filo-famiglia e cristiano. Complimenti Meloni». Poi, come riporta Repubblica, non può mancare l’attacco all’Europa «in mano a una élite liberale e progressista che pensa di sovrascrivere le leggi di natura, come quando ha sostenuto testi sui maschi che possono procreare», sostiene Orban. Che agli amici di FdI non può che dire: «Avanti ragazzi».

Meloni ritrova dunque un vecchio alleato da sventolare in faccia a chi vorrebbe buttarla fuori dal futuro potere in Ue. Ma perde, forse, un po’ di quella credibilità internazionale faticosamente guadagnata nell’ultimo anno.