POLEMICHE NELLA MAGGIORANZA DOPO L’EMENDAMENTO PRESENTATO DA LEU E DA UNA PARTE DEL PD

Il ministro degli Esteri: «Abbiamo già visto questo film nella crisi tra il 2007 e il 2008» Il deputato dem: «Chiediamo solo uno 0,2 per cento a chi possiede grandi patrimoni»

«Una ptrimoniale sarebbe inaccettabile». Parola di Luigi Di Maio. L’emergenza sanitaria e sociale sembra aver riportato il dibattito politico alla metà degli anni Novanta. Solo che la contesa sulla tassazione sui grandi patrimoni non vede contrapposti Lamberto Dini e Rifondazione comunista, ma pezzi del governo, pronti a entrare in conflitto col resto della maggioranza. Portabandiera dell’iniziativa una parte del Pd, capitanata da Matteo Orfini, e una costola di Leu, a guida Nicola Fratoianni. I due hanno presentato un emendamento alla legge di Bilancio per chiedere l’introduzione di una tassa patrimoniale al posto di Imu e imposta di bollo su conti correnti e deposito titoli. Ma i colleghi di “coalizione” non l’hanno presa molto bene. Si dissocia il Pd, si smarca Italia Viva, e si scaglia contro il Movimento 5 Stelle, da sempre, a detta di Di Maio, contrario a provvedimenti simili. Il polverone, però, non sembra intimidire i diretti interessati, Orfini e Fratoianni, che non appaiono affatto intenzionati a mollare la presa, ritirando l’emendamento della discordia. «Noi abbiamo presentato una proposta molto moderata», spiega il deputato dem. «Non aggiungiamo una tassa, rimoduliamo un meccanismo di prelievo fiscale», aggiunge Orfini, prima di entrare nel dettaglio: «Fino ai 500mila euro le persone pagheranno meno tasse». Sopra quella cifra - che comprende anche i beni immobiliari calcolati sul sul valore catastale e non quello di mercato - «chiediamo un piccolo contributo dello 0,2 per cento a chi ha grandi patrimoni», è l’assicurazione di Orfini.

Ma il ragionamento non piace affatto al compagno di partito e viceministro dell’Economia, Andrea Misiani, che liquida la proposta come un’iniziartiva individuale. E non convince per nulla neppure i renziani, ostili a nuove tassazioni sui patrimoni. Ma il no più perentorio è quello di Luigi Di Maio, ormai stimatissimo persino da Renato Brunetta. «Abbiamo già visto questo film nella crisi tra il 2007 e il 2008», dice il ministro degli Esteri. «A qualcuno venne in mente di aumentare le tasse per risolvere la crisi. Abbiamo scoperto sulla pelle di tanti italiani e di tante imprese italiane che andava fatto esattamente il contrario», spiega l’ex capo politico, spalleggiato dai piani alti pentastellati, memori dell’allergia di Gianroberto Casaleggio alla sola parola “patrimoniale” ( «gli venivano le bolle», dice il sottogretario Carlo Sibilia).

Eppure nel 2013, quando i grillini cercavano le “pezze d’appoggio” per finanziare il reddito di cittadinanza ( all’epoca sola una proposta), tra le 20 voci individuate per la copertura figurava proprio una patrimoniale sui beni superiori al milione e mezzo di euro. Da allora, ovviamente, è passata un’eternità e il Movimento ha cambiato più volte posizioni e pelle. Di Maio e compagni non sono più una brigata barricadera pronta a occupare i palazzi.

Il M5S è diventato una forza responsabile che deve rassicurare l’elettorato moderato. Fino a negare i trascorsi euroscettici dei primi tempi, come fa Di Maio, sminuendo il passato antieuropeista del Movimento. E dopo aver sostenuto l’elezione di Ursula von der Leyen, adesso i grillini cercano di accreditarsi nel Vecchio continente come forza stabilizzatrice. Obiettivo: essere accolti in una delle famiglie politiche all’Europarlamento e uscire dall’isolamento dei “non iscritti”. Impresa non semplice, dopo le porte in faccia sbattute ai grillini dai Verdi e dalla sinistra radicale, ma la “diplomazia pentastellata” conta di riuscire a ottenere il via libera dai Socialisti e democratici, lo stesso gruppo del Pd e dei partiti socialdemocratici di tutta Europa. Piano B: chiedere asilo a Renew Europe, il liberali macroniani tra le cui fila militano anche i renziani. «È il momento per il Movimento 5 Stelle di entrare in una grande famiglia europea per contare di più e far sentire la nostra voce nel Parlamento europeo», dice Di Maio al giornale francese Les Echos, rivendicando tutte le capriole pentastellate a Bruxelles. Ed è proprio questo nuovo Di Maio a opporsi con forza in Italia a un principio da sempre osteggiato dai partiti liberali: la patrimoniale. «Sono andato a vedere i dettagli», dice il titolare della Farnesina: «Basta avere la prima casa e un guadagno di duemila euro al mese, che vuol dire far parte del ceto medio, che ti fanno un prelievo forzoso. Questo è inaccettabile», conclude.

La chiusura secca però non va giù a Orfini , che su Twitter si prende la briga di replicare: Di Maio «sostiene di aver visto i dettagli della proposta sulla patrimoniale. Dice che colpirebbe il ceto medio. Non dubito abbia davvero visto i dettagli. Purtroppo a quanto pare non li ha capiti» .