Dismettere subito gli abiti di governo e recuperare dall’armadio le casacche dell’opposizione riposte solo due mesi fa. Dopo aver sondato tutti i forni su piazza, Luigi Di Maio si arrende all’evidenza: la sua scalata a Palazzo Chigi si ferma qui.

«Ora la palla passa a loro», dice il capo politico del Movimento 5 Stelle in un’email indirizzata al gruppo parlamentare. Perché dopo settimane di trame e strategie decise a tavolino da un ristrettissimo gruppo di persone, è giunto il momento di riconquistare la “base”, finora tenuta all’oscuro di ogni passaggio intermedio, costretta a “ingoiare” il corteggiamento a Matteo Salvini o a Maurizio Martina solo a cose fatte. «Insieme a Danilo ( Toninelli, ndr) e Giulia ( Grillo, ndr) e a tutti voi che ci avete sempre sostenuto, abbiamo cercato fino alla fine di dare un governo che offrisse finalmente soluzioni a questo nostro martoriato Paese», spiega a ignari deputati e senatori l’ormai ex aspirante premier. Perché adesso che sembra tutto finito Di Maio si sente in dovere di raccontare ai suoi il retroscena di questi due mesi di incontri, trattative e fitte telefonate con i principali leader politici. «Nel centrodestra la condizione che avevano posto era che il Presidente del Consiglio andasse al centrodestra e che dovessimo accettare Berlusconi in coalizione», argomenta il capo politico. «Sul lato Pd, Martina & co. non hanno mai posto nessun veto su me Presidente del Consiglio. È stato Renzi che ha posto il veto su tutto il Movimento 5 Stelle “al di là di chi fosse il premier”, l’avete sentito».

Il deputato di Pomigliano d’Arco teme un “processo” dalla base, sa che gran parte del gruppo parlamentare non gli perdona di aver esposto il Movimento al rischio di essere equiparato agli altri partiti: interessato solo alle poltrone e al potere. Molti deputati e senatori sono convinti che a impe- dire il dialogo con le altre forze politiche sia stata proprio l’ostinazione del leader a pretendere per sé la presidenza del consiglio. Ed è a loro che Di Maio sente di dovere delle spiegazioni. «Abbiamo dato il massimo e agito con linearità e prendendoci tutta la responsabilità di una situazione causata da una legge elettorale che hanno voluto tutti, tranne noi», dice. «Non abbiamo mai parlato di nomi, abbiamo costruito una situazione per proteggere i temi più delicati, cioè un contratto dove avremmo affrontato le questioni più urgenti per il nostro paese», specifica, nella speranza di sedare rivolte sotterranee. Bisogna allontanare dal Movimento il sospetto di aver agito per brama di potere. «Dicono che siamo dei poltronari. È un’accusa che mi fa sorridere, perché se avessimo voluto le poltrone avremmo potuto accettare di fare un contratto con Berlusconi e avremmo avuto le “nostre” poltrone al governo. E adesso vedremo chi sono i poltronari».

Di Maio richiama le truppe alla lotta per tenere al riparo la sua leadership da eventuali congiure. La strategia è chiara: con 338 parlamentari il Movimento 5 Stelle è convinto di rendere la vita impossibile a qualunque esecutivo. Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, non potrà ignorare i rapporti di forza e si persuaderà a sciogliere le Camere, confidano i vertici grillini, per concedere agli italiani una sorta di “secondo turno”. «Voglio vederli a fare l’ammucchiata contro di noi. Non sarà così facile», dice Di Maio fuori da Montecitorio, commentando l’eventualità di un governo senza Cinquestelle. Neanche il tempo di svestire i panni istituzionali e già i pentastellati recuperano il vocabolario più caro, quello pieno di parole come «inganno» e «complotto» per impedire il cambiamento. Tutti i poteri, da quelli politici a quelli mediatici, avrebbero tramato tenere fuori da Palazzo Chigi il capo del maggior partito italiano. «È emerso chiaramente che sia Berlusconi e Renzi, sia Renzi e Salvini si sono sentiti in tutto questo periodo per sabotare qualsiasi possibilità di far andare al governo il Movimento 5 Stelle. Hanno confermato che non hanno la volontà politica di fare gli interessi dei cittadini». L’ «affidabile» segretario della Lega si trasforma così, in poche ore, in una sorta di traditore della Patria che, in combutta con i nemici di sempre, ha abbindolato gli elettori. «Ma adesso basta», tuona il leader pentastellato, prima di suonare la carica: «Nei prossimi giorni parleremo con i cittadini nelle piazze e in tv. Avevamo creduto che i partiti, con tutte le batoste che hanno preso in questi anni, avessero imparato la lezione e avessero capito che è finalmente arrivato il momento di dare delle risposte agli italiani», dice. «Invece il cinismo e l’arroganza hanno prevalso». Lunedì Mattarella ha convocato tutti al Colle per un ultimo giro di consultazioni “lampo”. Le argomentazioni di Di Maio dovranno essere più convincenti per convincere il Capo dello Stato a richiamare i cittadini alle urne con la stessa legge elettorale che ha generato questo stallo.