Una settimana. È questo il tempo che Luigi Di Maio concede su Rousseau agli attivisti per discutere e certificare la mutazione genetica del Movimento 5 Stelle. Sette giorni per confrontarsi su quattro «argomenti tematici» : creazione di una struttura nazionale e locale del M5S, alleanze con le liste civiche alle Amministrative, via al limite dei due mandati ( per ora solo per i consiglieri comunali) e infine «temi relativi alle votazioni su Rousseau». A differenza del silenzio seguito alla sconfitta in Abruzzo, dopo la debacle sarda il capo politico pentastellato si fa vedere in conferenza stampa e annuncia grandi stravolgimenti per il suo partito. Obiettivo dichiarato: cambiare corpo, non «l’anima», per affrontare sfide all’altezza di una forza di governo. Ma non solo. Di Maio ha bisogno di rimescolare le carte in tavola anche per anticipare le mosse degli avversari interni e blindare la sua leadership, distribuendo incarichi e rassicurando chi lavora sui territori.

Non è detto però che la strategia funzioni. Anzi, per qualche deputato, potrebbe trasformarsi in un «boomerang», e il dissenso potrebbe espandersi parecchio oltre i “confini ortodossi”, ad oggi rappresentati dalle senatrici Paola Nugnes ed Elena Fattori. I guai maggiori potrebbero arrivare dai parlamentari al secondo mandato, per nulla rassicurati dall’apertura fatta dal leader sul limite dei due mandati. «Pure se ti consentono di ricandidarti, al momento non mi sembra una garanzia», confessa una fonte parlamentare non sospettabile di simpatie “fichiane”, «perché un conto è candidarsi con un partito del 30 per cento, un conto con un movimento al 10». Tradotto: non serve strizzare l’occhio agli eletti all’ultimo mandato se il partito crolla nei sondaggi e nelle urne.

Persino la mossa di strutturare l’organizzazione politica a livello nazionale e locale potrebbe far crescere l’esercito degli scontenti, ingrossato da gli esclusi. «Per fare un’iniziativa nel mio collegio o provare a sponsorizzare un candidato alle comunali dovrei chiedere il permesso a un capetto indicato da Di Maio?», si chiede un grillino insofferente.

L’unico ancora in grado di fermare la svolta indicata dal capo politico, con la benedizione di Davide Casaleggio, resta Beppe Grillo. Relegato per ora nel ruolo di padre nobile, garante, del Movimento, continua a detenere di un potere concretissimo: dispone del simbolo. Ma finché il fondatore preferire frequentare più i teatri che i compagni di partito, Luigi Di Maio sarà libero plasmare il Movimento come riterrà più opportuno.

«Il ruolo del capo politico si discute tra quattro anni, fino ad allora quello sarà l’incarico che mi ha dato il Movimento», mette in chiaro il ministro del Lavoro, mettendo a tacere quanti vorrebbero disarcionarlo. «Quando guardo all’organizzazione della campagna delle politiche penso che adesso dobbiamo darci un’organizzazione per riuscire ad essere forti anche alle amministrative. Un’organizzazione che non è calata dall’alto», spiega il leader pentastellato, elencando tutte le novità che a breve investiranno il suo partito. A cominciare dai cambiamenti per i consiglieri comunali e regionali. «Oggi un consigliere d’opposizione in un comune è un presidio di legalità», è la premessa che serve a rendere la notizia meno fastidiosa alle orecchie dell’ala movimentista. «Possiamo discutere di nuove regole per loro, ad esempio che il secondo mandato non valga come secondo in modo da dare la possibilità di candidarsi al Parlamento o al Consiglio regionale», aggiunge Di Maio, specificando di non star pensando al suo di «terzo mandato».

Ma se rivoluzione deve essere, che rivoluzione sia. E col tabù dei due mandati crolla anche quello sulle alleanze prima del voto. Anche in questo caso, le elezioni locali saranno il laboratorio per nuovi esperimenti. «Nei prossimi mesi possiamo lavorare a un dialogo con liste civiche vere, ma in maniera sperimentale, con calma», dice sciolto il capo politico, come se stesse parlando di acqua pubblica o reddito di cittadinanza. E se Filippo Nogarin propone la sua Livorno come banco di prova per le future alleanze, in tanti sospettano che dietro l’apertura alle civiche si nasconda la “sottomissione” alla Lega anche a livello comunale. Una sciagura da evitare a tutti i costi, per i grillini ortodossi.