Archiviata (malamente) l’Umbria, ora è la sfida in Emilia Romagna ad agitare i leader del governo giallorosso. I dem e Articolo 1 chiedono insistentemente ai grillini di ritentare l’alleanza regionale per fermare l’onda leghista, ma Luigi Di Maio ha chiuso qualsiasi spiraglio.

«Non me ne importa nulla di parlare di coalizioni o altro, non importa agli italiani», ha risposto spazientito il leader pentastellato all’ennesimo giornalista che gli chiedeva conto del fronte emiliano. Con buona pace del buon Pier Luigi Bersani, che ancora ieri si rivolgeva ai vertici grillini, invitandoli a rivedere «questa balzana idea che si possa fare da soli, restando ciascuno a casa sua». Secondo il fondatore di Articolo 1, «bisogna creare una novità che faccia dire “non sono il Pd , la sinistra e il M5S di prima”». Parole al vento, pare, visti i tumulti interni al Movimento 5 Stelle in emorragia di voti e convinto che a drenarli ( verso la destra o l’astensionismo) sia proprio l’alleanza tossica con il centrosinistra.

Si profila una partita dura, dunque, per il candidato dem Stefano Bonaccini (mai messo in discussione e mai approvato dai grillini, che ora gli fanno opposizione in Regione), che ha intuito come questa tornata elettorale potrebbe essergli fatale. «Io penso che M5s abbia un’occasione di sedersi e verificare se sui programmi ci sono convergenza o meno: se non ci sono, amici come prima», ha ripetuto per l’ennesima volta il governatore uscente, per ricevere però una nuova porta in faccia dalla vice presidente della Camera, Maria Edera Spadoni: «Noi corriamo da soli». Addirittura, un big del Movimento emiliano come Massimo Bugani ha ipotizzato che i 5 Stelle possano non correre affatto per la regione, non presentando alcuna lista.

Un bel guaio, visti i recenti sondaggi e gli esiti delle Europee in cui la Lega al 33% ha superato di sei punti i dem. Dunque, la regione rossa per antonomasia rischia seriamente di andare a destra per la prima volta nella sua storia. Matteo Salvini ha rotto ogni indugio e ha già iniziato a tirare la campagna per la sua candidata, Lucia Borgonzoni. Il leader del Carroccio sa che una spallata nel cuore del centrosinistra potrebbe essere fatale per il governo e ha sfoderato l’artiglieria pesante, puntando sul tema del pericolo migratorio.

Davanti ai niet pentastellati, anche i dem hanno iniziato a indispettirsi. Dalla prossima settimana, «il gruppo dirigente del Pd si sposterà in massa in Emilia Romagna per la campagna elettorale», dicono i parlamentari. Inoltre, è tutto pronto per la mega convention di Bologna che si terrà dal 15 al 17 novembre e che vuole rilanciare l’appeal del Partito Democratico. In Emilia, a differenza che in Umbria, la sfida è ancora aperta: la regione è stata ben governata e gode di un buon tenore di vita e di un apparato produttivo solido, tanto da permettere di parlare di “Modello Emilia Romagna”. Su questo punterà Bonaccini, evitando di scendere sul campo di Salvini che proverà a portare in campagna elettorale temi più nazionali.

Inoltre, a differenza dello sconfitto Vincenzo Bianconi, Bonaccini potrà contare sull’appoggio esplicito di Italia Viva. Non correrà col suo simbolo ( tenuto in caldo per le regionali “casalinghe” in Toscana), ma ha concordato con il candidato di inserire i propri candidati nel listino del presidente. «Per l’Emilia pancia a terra per Stefano Bonaccini», ha detto il vicepresidente della Camera, Ettore Rosato, che ha confermato che «noi siamo impegnati a sostenerlo con la nostra presenza e il nostro impegno diretto. Faremo una campagna sulla sua persona di presidente, e con personalità che collaboreranno con la sua lista di presidente. Noi avevamo detto che qualunque fosse l’alleanza, se col M5S o meno, Bonaccini va riconfermato».

La decisione ha fatto arrabbiare i dem, che vorrebbero un’Italia Viva presente col suo simbolo, in modo da “pesarla” elettoralmente e da costringere Matteo Renzi a mettere la faccia del suo nuovo partito davanti agli elettori. Bonaccini, però, sa che in questa fase ogni endorsement è importante e non può permettersi di dettare condizioni politiche stringenti a nessuno, men che meno ai renziani.

La corsa è cominciata e il timore dei dem è solo uno: che la politica nazionale entri a piedi uniti sugli stinchi di un’elezione regionale, trasformandola in una corsa a ostacoli in salita.