Rosa Maria Di Giorgi, già vicepresidente del Senato e deputata del Pd, ha lasciato ieri i dem per approdare a Italia viva e motiva così la sua scelta: «C’è il rischio reale che il Pd si assuefaccia ai Cinque Stelle - spiega - E con la segreteria Schlein si è formato un pensiero unico sui temi etici che non mi appartiene».

Senatrice Di Giorgi, ha parlato della tendenza a superare l'esperienza del Pd per tornare ai Ds: in che senso?

È una questione, come si dice, di merito e di metodo. Nel Pd vedo una linea politica che guarda sempre più al passato, con risposte vecchie a problemi nuovi. E vedo una pratica quotidiana di gestione del partito che ripercorre stili “autoreferenziali”. Purtroppo li abbiamo ben conosciuti e non hanno certo prodotto buoni risultati. Chiudersi in se stessi, cercare di rifugiarsi nelle vecchie parole d'ordine adatte a una realtà sociale diversa, che non esiste più nell'era della globalizzazione, condanna il partito all'irrilevanza e lo rende sempre più estraneo rispetto ai problemi reali delle persone. Vorrei fare un esempio.

Prego.

Il lavoro è cambiato. È nei servizi che si gioca il futuro di tante aeree del Paese. Non c’è più la fabbrica e le sue dinamiche. E questo va compreso. Trovare risposte nuove, avvicinarsi alle figure professionali emergenti, essere riferimento per i giovani che cercano lavoro, per coloro che vengono espulsi dai processi produttivi e hanno bisogno di percorsi formativi pensati per loro. Per tutto questo, ci vogliono idee innovative, pensieri agili. C'è bisogno di strategie e di provvedimenti normativi all'altezza delle sfide che ci vengono proposte. Il Pd di oggi mi sembra statico, non attrezzato per un'analisi diversa orientata allo sviluppo. Sviluppo sostenibile, certo, rispetto per l'ambiente in primis, ma sviluppo, innovazione, infrastrutture materiali e immateriali. Insomma, tutto ciò che serve per la crescita di un paese.

Lei è stata vicepresidente del Senato, poi deputata: com'è cambiato il Pd da quando sedeva in Parlamento?

Ho conosciuto in quegli anni una stagione di grande effervescenza, di grandissima apertura verso il Paese e, contrariamente a quanto si racconta oggi, anche di grande capacità di ascolto e di sintesi. Ci sentivamo parte di una sfida, che era, ed è, quella della modernizzazione del Paese. Ed eravamo riconosciuti come un partito in grado di conseguire risultati importanti, inediti. Oggi il Pd mi sembra arrancare guardando al proprio ombelico, piuttosto che alle trasformazioni epocali che stiamo vivendo. Quindi un enorme cambiamento rispetto a quella stagione in cui avevamo Matteo Renzi segretario del partito e poi presidente del Consiglio. Era la differenza. Non è stato un bello spettacolo assistere, negli anni successivi, al rifiuto di quella stagione. Ho cominciato a sentire un'atmosfera diffusa fra i dirigenti, volta alla negazione di quella stagione brillante. E ciò non ha prodotto grandi risultati. Tanti di noi sono stati definiti “renziani', una parola cui si sono affezionati, usata per dividere. Quasi fosse una sorta di malattia, qualcosa da annullare poco per volta. Non una bella sensazione.

Lei ha descritto le distanze ormai troppo profonde con l'attuale gruppo dirigente: pensa che il Pd finirà per assuefarsi ai Cinque Stelle?

Per quello che mi è dato di vedere, mi sembra un rischio reale. E del resto le ultime indiscrezioni circa la trasformazione che il gruppo schleiniano vuole imprimere all’organizzazione del Pd lo confermano. Un movimentismo che non ci apparteneva. Una radicalità estranea al Pd che ho contribuito a fondare, un modo di affrontare la realtà legato a slogan vari, non adatti a una forza che dovrebbe essere forza di governo, non espressione di movimenti di natura minoritaria.

Nel suo messaggio d’addio ha citato alcuni temi dirimenti, come l'utero in affitto, la liberalizzazione delle droghe leggere, il fine vita. Possiamo definirli come la goccia che ha fatto traboccare il vaso?

Beh, più che goccia sono un’onda. Abbastanza “anomala” per altro, visto il Dna del Pd. Almeno quello che ho contribuito a fondare 20 anni fa. Temi importanti. Temi che interessano l'essenza dell'uomo e della donna, temi che possono sconvolgere la vita dei giovani. Vorrei discutere di questo, non voglio accettare il pensiero unico che sembra essersi affermato nel Pd.

Ha sentito negli ultimi tempi la segretaria Schlein, o esponenti di spicco del partito per affrontare tali questioni?

Mai. Nessuno ha cercato me o chiunque esprimesse delle critiche alla linea politica maggioritaria. Né a livello nazionale, ma purtroppo neanche a livello locale. Un partito che tratta solo pochi temi, legati all'amministrazione spicciola, e che corre il rischio di perdere la dimensione di programmazione e strategica. E questo è un altro dei motivi che mi spingono ad andare in un’altra direzione.

E così è arrivata l’adesione a Italia viva: in che modo darà il suo contributo alla causa renziana?

Se permette non condivido il termine che lei usa. Causa renziana? Che vuol dire? Io aderisco a un partito che vuole coprire il centro nello schieramento di centro- sinistra, un partito fondato da Matteo Renzi, ma con idee e strategie precise: innovazione, sviluppo. Non esiste una causa renziana. Sono a disposizione del partito e sono decisa a dare il mio contributo, spero non marginale, in questa fase sicuramente difficile della vita democratica.

Crede che i riformisti possano ancora convivere in una specie di Terzo polo 2.0?

Non solo ci credo ma lavorerò per questo. Lo ritengo vitale per il nostro paese. E credo che tra gli elettori questa consapevolezza sia ben radicata.