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L'aula di Montecitorio
È finita con un dietrofront. Che sa di mesta rassegnazione, e sul quale Roberto Giachetti, giustamente, maramaldeggia: «Forza Italia nel giro di poche ore è passata dallo Ius scholae allo ius carcere». Battuta regolare, quindici zero, verrebbe da dire con una citazione vanziniana. Niente da fare per la proposta con cui gli azzurri hanno tenuto in sospeso il ddl Sicurezza (l’esame di Montecitorio proseguirà anche oggi) e hanno tentato di addolcire, almeno, la norma che cancella l’obbligo di differire la pena per le donne con figli fino a 3 anni d’età. Si rischiava un patatrac serissimo, nella maggioranza.
Oltre alla netta contrarietà della Lega, in trincea sulla legge che ingloba di tutto, incluso il “reato di rivolta in carcere”, è emerso l’insuperabile niet di Fratelli d’Italia. Non c’è stato bisogno che intervenisse Giorgia Meloni: è bastato e avanzato il capogruppo Tommaso Foti, nettissimo nel dire ai forzisti che avevano una sola strada per far passare il loro emendamento, e cioè votarselo col centrosinistra. E dopo varie insistenze, né il presidente dei deputati azzurri Paolo Barelli né Antonio Tajani se la sono sentita di giocare d’azzardo.
Già la giornata era stata appesantita, per i berlusconiani, dalla mossa di Carlo Calenda (della quale si riferisce con ampiezza in altro servizio del giornale, ndr), che ha messo ai voti l’emendamento, respinto dall’Aula, sullo Ius scholae, modellato perfettamente sull’ipotesi che Tajani e Barelli hanno congelato in vista di un accordo con gli alleati.
Poi è arrivato il compromesso al ribasso, per Forza Italia, sulle detenute madri. In cambio del dietrofront sulla norma che ripristinava il differimento pena quanto meno per le donne con figli neonati (fino ai 12 mesi d’età), i berlusconiani hanno ottenuto che al famigerato articolo 15 del ddl Sicurezza si aggiungesse il seguente comma: “Entro il 31 ottobre di ciascun anno il governo presenta al Parlamento una relazione sulla attuazione delle misure cautelari nei confronti delle donne incinte e delle madri di prole di età inferiore a tre anni”.
Testo inserito sotto forma di emendamento dei relatori. Il capogruppo di FI in commissione Affari costituzionali Paolo Emilio Russo, che ha seguito la partita nel Comitato dei Nove, guarda al bicchiere mezzo pieno: «La modifica va nella direzione di rafforzare la vigilanza e il controllo sul fenomeno delle madri detenute e, soprattutto, dei bambini che nascono e crescono in carcere».
Di fatto, la battaglia per scongiurare l’abominio dei piccoli dietro le sbarre è congelata e rinviata a successivi negoziati come l’intero dossier carcere. Non c’è da stupirsi, ma è anche la conferma che, sul tema della detenzione, la golden share del centrodestra resta saldamente nelle mani dei “securitari”, cioè di FdI e Lega, e non certo in quelle di Forza Italia, con il guardasigilli Carlo Nordio costretto a prendere atto di un rapporto di forza al momento immodificabile.
L’esame del ddl Sicurezza era ripreso, ieri mattina, fra polemiche di carattere più procedurale, con le opposizioni che avevano contestato al governo di non aver espresso tutti i necessari pareri sugli emendamenti. Finché alle 15.30 si è riunito il Comitato dei Nove, nel quale è emerso che l’Esecutivo era in ritardo non per indolenza, ma per l’evidente impossibilità di indicare una posizione definitiva proprio sulle detenute madri, cioè sull’articolo 15. A proposito di procedure, va detto che la maggioranza, prima ancora di formalizzare il “compromesso” sulle detenute madri, aveva allontanato il rischio di una sfida al buio, con il no alla richiesta di voto segreto sugli emendamenti.
Moltissimi i punti caldi della discussione. Tanti quanti sono i messaggi contenuti nel ddl Sicurezza, in parte modulati per dare risposte su questioni di facile impatto mediatico, ma difficilmente risolvibili con inasprimenti normativi. Si può citare la norma contenuta nell’articolo 10 che, secondo il deputato di FdI Mauro Malaguti, dovrebbe mettere fine al «calvario di tutte le persone anziane che, ricoverate per problemi di salute, al rientro si trovavano la casa occupata. Con il centrodestra finalmente vince la legalità», secondo il parlamentare meloniano.
Riccardo Magi di + Europa ha tentato inutilmente di scongiurare la stretta sulla cannabis light: «Il Tar del Lazio, confermando che il Cbd non ha nulla a che fare nemmeno lontanamente con le sostanze stupefacenti, smonta tutta la propaganda proibizionista del governo e incide profondamente anche su ciò che l’aula di Montecitorio discute in queste ore, ovvero sulla parte del ddl Sicurezza che di fatto cancella con un colpo di spugna l’intero settore della canapa industriale».
Magi ha avvertito che «governo e maggioranza, se non vogliono vedere questo provvedimento smontato dalle sentenze» dovrebbero «stralciare l’articolo 18». Ma anche su questo il centrodestra ha tenuto la rotta del rigorismo a tutti i costi.