Zaia, arrivato in realtà non al terzo ma al quarto mandato, non si può ricandidare nel Veneto. De Luca in Campania, terzo mandato, invece sì. Bonaccini l'emiliano è fuori. Emiliano di Puglia e Toti il Ligure, tutti al terzo mandato no. Come è possibile? In base alll'art. 122 comma 1 della Costituzione, approvato nel 2001 come parte del Titolo V della Carta, riforma foriera di danni a non finire imposta a stretta maggioranza e a poche ore dallo scioglimento delle Camere dal centrosinistra. Dice che il sistema di elezioni è disciplinato «con legge della Regione nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica». Si applica insomma quella logica “concorrenziale” che è all'origine di quasi tutti i guasti introdotti dal Titolo V.

La legge statale ci sarebbe: è stata approvata nel 2004 e fissa il tetto dei due mandati per i presidenti di Regione. Sembrerebbe chiaro ma non lo è. Esistono letture opposte sull'obbligo per le Regioni di recepire la legge dello Stato e i giudici che sono stati chiamati a dirimere la materia hanno optato per l'assenza di quell'obbligo. Due ricorsi, entrambi nel 2010 ma bipartisan, Formigoni in Lombardia, Errani in Emilia- Romagna. Entrambi si sono potuti candidare. Quelle Regioni hanno poi recepito la legge, Puglia, Campania e Liguria invece no. Alcune Regioni, tra cui il Veneto hanno recepito la legge ma spostando avanti le lancette, cioè non tenendo conto dei mandati già svolti prima del recepimento. Volendo De Luca potrebbe cavarsela anche così.

Ci sarebbe per la verità una legge del 1953 in base alla quale le leggi regionali in contrasto con quelle dello Stato sono automaticamente abrogate. Ma i giudici che hanno sentenziato sulla Lombardia e sull'Emilia nel 2010 hanno stabilito che non se ne deve più tener conto. Bisognerebbe ricorrere alla Corte costituzionale, ma nessuno lo ha fatto. Il governo potrebbe intervenire, come parte in causa nella concorrenzialità, ma perché Meloni dovrebbe tirare fuori dai guai Schlein? Il problema in fondo è solo suo.