L'otto settembre doveva essere il giorno della fine delle ostilità per i 5 stelle. E invece non c'è armistizio che tenga all'ombra del Campidoglio. Raffaele De Dominicis non ha i «requisiti previsti dal M5S». Dunque, «non può più assumere l'incarico di assessore al Bilancio della giunta capitolina». Con poche righe su Facebook, la sindaca di Roma, Virginia Raggi, annuncia l'ennesimo colpo di scena settembrino. L'ex giudice della Corte dei Conti risulta indagato per abuso d'ufficio e quindi salta. Sembra passato un secolo da quando, il 5 settembre, la prima cittadina annunciava fiera di aver individuato il sostituto di Marcello Minenna: «Una persona che ha dimostrato di essere un vero servitore dello Stato, e per questo siamo onorati che faccia parte della nostra squadra». Tre giorni dopo, De Dominicis non ha più la patente del grillismo. «Sono amareggiato. Mi considero vittima di un complotto e di una ingiustizia gravissima e senza precedenti», replica a caldo l'assessore escluso. «Sono i codici della Repubblica che devono prevalere, il buon diritto ed i provvedimenti motivati e non i codici etici spesso frutto di improvvisazione e di opportunismo». Ma la macchina deve subito ripartire, e già circola voce sul possibile sostituto: Antonio Di Pietro. Toto nomi a parte, la notizia dell'ennesimo allontanamento è una bomba che getta nello sconforto gli attivisti, da giorni impegnati in una strenua battaglia di resistenza in Rete contro troll e avversari politici. I sostenitori di Raggi avevano difeso De Dominicis anche quando l'ex magistrato, appena nominato, era finito nella bufera per aver dichiarato la sua amicizia con l'avvocato Sammarco, il legale che aveva sponsorizzato la sindaca ai tempi del praticantato nello studio Previti. È l'ennesima tegola sulla testa del Movimento. In soli otto giorni l'Amministrazione perde: un capo di gabinetto, due assessori al Bilancio, un vice capo di gabinetto e tre dirigenti di partecipate.Ma a "cadere", in questo giovedì nero, non sono solo "servitori" della cosa pubblica. Virginia Raggi ottiene la "resa" del mini direttorio - con Paola Taverna in testa - che avrebbe dovuto guidarla nell'azione amministrativa: si son dimessi in blocco. A uscire illeso dal conflitto, per ora, è solo Alessandro Di Battista, il "colonnello" pentastellato che adesso potrebbe trarre vantaggio dell'imboscata in cui è caduto il generale Luigi Di Maio.Il palco di Nettuno - con Beppe Grillo e il Direttorio al gran completo - doveva rappresentare la pace ritrovata dopo le bugie e i colpi bassi seguiti al "caso Muraro". Ma l'artiglieria non si è mai fermata. A poco servono gli appelli all'unità del cofondatore del Movimento che, dopo aver riunito i vertici del partito all'Hotel Forum, invita i suoi a farla finita con «l'autolesionismo, ora barra dritta e pedalare». Ma ora, forse, è già troppo tardi. Paola Taverna, Fabio Massimo Castaldo e Gianluca Perilli hanno abbandonato la nave che affonda con un elegante post da "prima Repubblica" apparso sul blog delle stelle: «Oggi la macchina amministrativa è partita ed è giusto che ora proceda spedita. Per questo, con lo stesso senso di responsabilità di allora, riteniamo che oggi il nostro compito non sia più necessario. Auguriamo al sindaco e alla sua squadra i migliori successi, nell'interesse della città e della cittadinanza tutta».Qualche ora prima di abbandonare la squadra romana, la senatrice Taverna si era sfogata in Rete contro chi la accusava di tradimento dopo la diffusione delle email tra lei e Di Maio: «Ho già provveduto a far smentita pubblica a chi si è permesso di dire che sono stata io a passare mail ed sms alla stampa e sono pronta a querelare chiunque lo affermi nuovamente! chiaro? Il M5S è la mia vita e per quello che è in mio potere lotterò fino alla fine per veder realizzato quel sogno».Sono ore delicate per il Movimento 5 stelle. E in tanti puntano il dito sull'incapacità del Direttorio di gestire la complessa macchina capitolina. Davide Casaleggio pensa ad azzerare le deleghe ai membri della "segreteria politica" per sedare la rivolta mentre. Potrebbe non bastare. Soprattutto i senatori, tutti esclusi dalla plancia di comando, chiedono un allargamento sostanziale del Direttorio, aprendolo a trenta o quaranta persone. Ma Beppe Grillo non ne vuol sentir parlare e blinda i cinque dirigenti nazionali. Nella speranza che il Movimento non si sgretoli.