Una parte è propaganda, il resto attinge a piene mani da emendamenti presentati dal Pd nella scorsa legislatura. L’ex ministro del Lavoro e leader dei Laburisti Dem, Cesare Damiano, analizza così il “decreto dignità” del suo omologo Luigi Di Maio, approvato in Consiglio dei Ministri e avverte: «Il Pd non deve rispondere con una propaganda opposta, totalmente negativa e superficiale, ma con una opposizione parlamentare efficace».

È arrivata la prima misura del ministro del Lavoro, Luigi Di Maio. L’ha definita la «Waterloo del precariato» .

In realtà si tratta di qualcosa di molto più modesto. La verità, tolte tutte le enfatizzazioni, è che Di Maio ha bisogno come il pane di avere una sua visibilità mediatica da contrapporre alla esuberanza di Salvini, che sta occupando totalmente la scena politica con i suoi annunci a costo zero. Di Maio deve rispondere e per questo anche lui ha scelto il sentiero angusto del costo zero, perchè in caso contrario incorrerebbe nella reprimenda del ministro dell’Economia e delle Finanze, Giovanni Tria, che ha già dichiarato che non ci sono risorse per realizzare la gran parte delle riforme assai costose del contratto gialloverde: penso al reddito di cittadinanza, al superamento della legge Fornero e alla flat tax, alle quali aggiungere la cancellazione della clausola che prevede l’aumento dell’iva. Mal contati, si tratta di decine di miliardi.

Questo provvedimento non tocca davvero il precariato?

No, perchè il “decreto dignità” si limita a intervenire su due normative facili come il contratto a termine e la somministrazione, che sono l’ultima causa della precarietà in quanto si tratta di rapporti regolari, trasparenti e contrattualizzati.

Cosa avrebbe dovuto fare, invece?

Il vero punto di partenza per sconfiggere il lavoro intermittente sarebbe ancora una volta la diminuzione strutturale del cuneo fiscale a vantaggio delle imprese che assumono stabilmente, ma si tratta di un intervento che costa miliardi. In secondo luogo, combattere la precarietà vuol dire affrontare il lavoro nero, il dumping contrattuale, le finte partite iva che sfuggono a qualsiasi controllo e umiliano il lavoro, ma ci vuole troppo tempo. Quindi la via più facile e breve è intervenire su queste due forme contrattuali.

Esaminando nel merito il decreto, cosa non funziona?

Per quanto riguarda la parte riferita al lavoro, penso che l’equiparazione del lavoro interinale con il contratto a termine sia un grave errore concettuale e una presa di posizione puramente ideologica. Il contratto di somministrazione, infatti, costa dal 20 al 30% in più dei normali contratti e per questo si giustifica il suo utilizzo flessibile. In sostanza, confermo un punto di vista che ho espresso quando ero ministro del Lavoro: la flessibilità deve costare di più rispetto al lavoro stabile e non il contrario, come è capitato per molto tempo. Il lavoro in somministrazione obbedisce a questo concetto e mi auguro che nella battaglia parlamentare venga tolto dal decreto.

Si propone anche la reintroduzione delle causali per i contratti a termine. Condivide?

Su questo fronte, concordo con la proposta di Di Maio. Del resto, anche il senatore Nannicini ha evidenziato in una intervista la contraddizione delle politiche del Pd sul lavoro, quando ha affermato che siamo stati sconfitti per troppe incoerenze. Una di queste è stata l’aver scelto di incentivare con il jobs act le assunzioni a tempo indeterminato, cancellando però le causali del contratto a termine, liberalizzandolo. Nessuno ci ha capiti.

Il decreto diminuisce a 24 mesi la durata del contratto a termine.

Come si fa a non essere d’accordo? La proposta di Di Maio non è nient’altro che l’adozione dell’emendamento proposto alla legge di Bilancio dall’onorevole Gribaudo del Pd nella scorsa legislatura. Lo stesso vale per la norma che prevede un aumento delle mensilità di risarcimento in caso di licenziamento individuale e illegittimo, che viene portato dai 24 a un massimo di 36 mesi: è l’emendamento approvato alla commissione lavoro della Camera, di cui io ero primo firmatario. Nella passata legislatura l’emendamento fu ritirato perchè non accolto dal governo Gentiloni, a seguito di un veto del Pd. Fu uno dei tanti errori che abbiamo commesso e che ci hanno distanziato da molti lavoratori, che si sono rifugiati nella demagogia e nel populismo dei gialloverdi.

I punti di contatto con le politiche della minoranza dem sono molti. Questo decreto strizza l’occhio a sinistra?

Sicuramente Di Maio guarda all’elettorato di sinistra, ma fa anche molta propaganda, non intervenendo sui capisaldi della legislazione del lavoro che potrebbero davvero limitare la precarietà. Come tutti i populisti, agisce soprattutto sul fronte della comunicazione.

Come opposizione, quindi, cosa dovrebbe fare il Pd?

Credo che non si debba rispondere con una propaganda all’opposto totalmente negativa e superficiale. Il Pd deve sfidare il governo sui contenuti, con una azione parlamentare efficace, che tolga dal decreto il lavoro interinale, per esempio. La prova del nove sarà, comunque, la legge di Bilancio: lì il governo dovrà mettere davvero le risorse e non basteranno più gli annunci.