Mentre il governo Conte si appresta a incassare la prima fiducia al Senato, nella serata di oggi, gli strateghi del cambiamento ragionano sui nomi che dovranno interpretare al meglio il nuovo corso. Lo spoil system è in corso. A breve, infatti, verranno sostituiti i vertici delle amministrazioni pubbliche - dal cda della Rai alla Cassa depositi e prestiti, fino alle deleghe e ai capi di gabinetto dei ministeri - nel naturale valzer di poltrone che scatta all’avvicendarsi di ogni maggioranza. E mentre Lega e M5S si contendono la delega alle Telecomunicazioni, giustizia e Tv di Stato saranno i primi test in base ai quali valutare i connotati del nuovo potere.

I primi vertici da cambiare riguardano la Rai. Il 30 giugno decade l’attuale Consiglio d’amministrazione presieduto da Monica Maggioni e diretto da Mario Orfeo. Già scaduti i termini per depositare le candidature per il futuro cda, ora bisogna nominare sette nuovi membri: due eletti dalla Camera, due dal Senato, due indicati dal Consiglio dei ministri su proposta del ministero dell’Economia e uno scelto dai dipendenti Rai. Diversi i nomi noti in lizza, a partire da Michele Santoro e Giovanni Minoli, oltre agli attuali consiglieri. Ma il vero banco di prova saranno le due poltrone più pesanti: il direttore generale e il presidente. Per il primo ruolo, quello con più poteri, circola il nome di Vincenzo Spadafora, braccio destro di Luigi Di Maio, rimasto fuori dal gioco dei ministeri. Qualcuno però sogna di portare sullo scranno più caldo di Viale Mazzini il direttore del Tg la7 Enrico Mentana. Il diretto interessato ha già detto di non avere alcuna intenzione di ricoprire incarichi di questo tipo «finché a decidere sarà la politica». Le sue quotazioni sono crollate ulteriormente ieri, quando su Facebook ha attaccato direttamente Di Maio e Salvini per i silenzi sulla vicenda del sindacalista maliano ucciso in Calabria. L’assassinio del giovane lavoratore «è un banco di prova del polso e della reattività del nuovo governo, ma anche dei suoi orientamenti in tema di convivenza e rispetto delle regole nelle zone più degradate», scrive il giornalista. «Per correttezza vi riporto cosa hanno detto il premier Conte, il ministro del lavoro e quello degli interni, tutti direttamente attesi, per le loro competenze, nel giudizio sulla vicenda: neanche una parola».

Punta alla presidenza, invece, Carlo Freccero, consigliere uscente ( in quota 5 Stelle) e ormai aperto sostenitore del governo giallo- verde. Se le sue ambizioni venissero soddisfatte, a ruota toccherà intervenire sui direttori di rete e dei tg. Ma anche decidere a chi assegnare i programmi. Se sembra certo un ritorno di Giletti in Rai, comincia a diventare sempre più concreta l’eventualità di un rientro anche di Milena Gabanelli. «Per ora nessuno mi ha chiesto nulla. Mai dire mai, ma bisogna vedere dove, come e quando», dice la storica conduttrice di Report. «La Rai è stata il mio unico luogo di lavoro per più di trent’anni. Non l’ho lasciata con felicità ma perché sono stata costretta, senza sapere un perché».

Ma la Tv di Stato non è l’unico test per farsi un’idea del “nuovo corso”. A breve anche vertici dei dipartimenti in cui si articola il ministero affidato ad Alfonso Bonafede saranno chiamati a rappresentare la nuova visione giallo- verde, scritta nero su bianco sul contratto di governo. Il feeling culturale tra Movimento 5 Stelle all’area davighiana della magistratura è cosa nota, resta da capire se l’ex pm milanese di Mani pulite sostenitore dell’idea dell’agente provocatore - avrà un ruolo, diretto o indiretto, nella nomina dei nuovi dirigenti. Difficile immaginare che l’ex capo dell’Anm si impegni in prima persona, più probabile che svolga un ruolo di consigliere del nuovo ministro. E anche se Autonomia e Indipendenza, la corrente delle toghe fondata da Piercamillo Davigo, nega ogni contatto con Via Arenula, voci di corridoio continuano a ripetere i nomi di magistrati vicini all’ex pm tra i protagonisti degli avvicendamenti. A partire dal capo di gabinetto, ruolo che secondo il Messaggero potrebbe essere affidato ad Alessandro Pepe, segretario della corrente davighiana e fedelissimo del leader milanese. «Nessun componente del Gruppo di Coordinamento di A& I, né tantomeno Piercamillo Davigo ed Alessandro Pepe, hanno mai avuto incontri e colloqui col nuovo ministro della Giustizia o con altri esponenti del Movimento 5 Stelle per parlare di incarichi», smentisce con forza il coordinamento del “partito togato”.

Al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ( Dap), invece, dovrebbe arrivare Antonino Di Matteo, il magistrato della “trattativa”, uno dei simboli della retorica pentastellata sulla giustizia, approdato alla Direziona nazionale antimafia su impulso dei davighiani. Si tratta di uno dei dipartimenti più delicati del Ministero: gestisce il personale e i beni della amministrazione penitenziaria, svolge i compiti relativi alla esecuzione delle misure cautelari, delle pene e delle misure di sicurezza detentive, si occupa del trattamento dei detenuti. Se la nomina al Dap non andasse in porto, per Di Mattero potrebbero aprirsi le porte del Dipartimento per gli affari di giustizia ( Dag), che, tra le sue funzioni, comprende: «organizzazione e funzionamento dei servizi relativi alla giustizia» e «attività relative alle competenze del Ministro in ordine ai magistrati studio e proposta di interventi normativi nel settore di competenza». Difficile vedere Di Matteo in un ruolo più politico, da sottosegretario, ma in questa fase nulla può essere escluso.