'Massimo D’Alema chi? '. A fronte della minaccia di un nuovo partito fondato dall’ex leader dei Ds, Matteo Renzi reagisce esattamente come fece quando il medesimo D’Alema si schierò per il No al referendum: con sprezzante sufficienza. Il ragazzo di Rignano è uno di quelli che sbagliando non impara. Si appresta a pagare di nuovo, a prezzo ancora più esoso, la sottovalutazione del rottamato per eccellenza. In sé D’Alema non costituisce una minaccia. Non è un capobastone forte di parlamentari e amministratori alle sue spalle. Per motivi tutto sommato oscuri è diventato agli occhi del volgo l’emblema di tutti i vizi che affliggevano la seconda Repubblica: neppure da quel punto di vista sembrerebbe temibile e infatti Renzi, che spesso si accontenta di uno sguardo superficiale, non lo teme.

Il problema è che D’Alema è un maestro nella politique politicienne, forse l’ultimo rimasto su piazza. Non gli ci è voluto molto a farsi due conti: per un partito di sinistra non ci sarà mai occasione più dorata di questa. E’ molto probabile, pur se non ancora certo, che la legge elettorale sarà proporzionale: ideale per un partito che si affaccia per la prima volta e che difficilmente potrebbe competere per la guida del governo. Alla Camera la soglia di sbarramento è molto bassa, il che quasi garantisce l’ingresso in Parlamento. E’ vero che, in compenso, al Senato è molto alta, ma si può scommettere che verrà abbassata nel corso del processo di ' armonizzazione' tra le due leggi uscite dalla Consulta. La micidiale trappola del voto utile stavolta non scatterà. La soglia per accedere al premio di maggioranza è troppo alta perché una lista possa credibilmente ambire a conquistarlo.

La sentenza della Consulta, infine, ha messo certamente nelle mani di Renzi un’arma potente, con la conferma dei capolista bloccati, quindi nominati dal segretario. Però è un’arma a doppio taglio, perché di conseguenza quasi tutta la minoranza del Pd sa di non avere possibilità di rielezione se non nelle liste di un altro partito. Dal punto di vista del consenso, la situazione non è meno favorevole. Con una legge elettorale che comunque imporrà alleanze dopo il voto sono in campo due sole possibilità di maggioranza: un accordo Renzi- Berlu- sconi- Alfano oppure un asse antisistema Grillo- Salvini- Meloni. La padella e la brace. E’ presumibile che parecchi elettori di sinistra aspettino solo che spunti una possibilità diversa dalla scelta dell’albero a cui impiccarsi.

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E’ sulla base di questo ragionamento che D’Alema ha preso la sua decisione. L’impatto sul Pd sarà terremotante. Oggi i più cauti danno alla scissione un 90% di probabilità, ma appunto ci vanno davvero prudenti. La variabile sarebbe il congresso, ma è una variabile che sembra già predeterminata. Le scalmane di Renzi per votare a giugno dipendono da due considerazioni. La prima, fondata, è la paura di votare dopo una manovra che si profila pesantissima nel prossimo autunno. La seconda, meno comprensibile, è il timore di perdere il congresso, non nel senso di non uscirne vincente ma in quello di diventare un primus inter pares, ostaggio dei capibastone alleati. Dunque è pronto a tutto pur di evitare le assise. Il voto a giugno senza congresso sarebbe un incentivo alla scissione definitivo, ma in ogni caso le chances della minoranza sarebbero esigue e anche col congresso la scissione resterebbe probabile.

Già il solo bagliore di una forza di sinistra unitaria sta squassando la galassia mai così frantumata della sinistra radicale. Giuliano Pisapia e Laura Boldrini, dopo aver giocato la carta perdente in partenza del ' campo progressista', già si preparavano a candidarsi nella lista del Pd. La comparsa di un nuovo soggetto potrebbe far cambiare idea a entrambi. Sinistra italiana arriva al suo congresso fondativo lacerata da una guerra civile in piena regola. Da un lato la candidatura del capogruppo alla Camera Arturo Scotto, dall’altro quella, non ancora formalizzata, di Nicola Fratoianni. La linea del fronte avrebbe dovuto essere proprio la maggiore o minore disponibilità a riaprire una dialogo col Pd, ma è evidente che l’ipotesi di un nuovo partito e di una conseguente lista unitaria a sinistra cambia tutte le carte in tavola. Scotto ha chiesto, inutilmente, la sospensione del congresso. Insistendo però sulla necessità di tenere in massimo conto le modifiche del quadro internazionale e nazionale, confermata subito anche da Fratoianni. Vendola, l’ex leader che supporta Fratoianni e Fassina hanno immediatamente manifestato il loro interesse per la formazione dalemiana.

[caption id="attachment_32529" align="alignnone" width="620"] Francesco Nicodemo (s), delega alla cultura, e Chiara Braga, delega all'Ambiente, durante l'Assemblea nazionale del Pd a Milano, 15 dicembre 2013. ANSA/MOURAD BALTI TOUATI Foto Ansa[/caption]

Una parte importante nel progetto di D’Alema èrappresentata dagli amministratori, a partire dal governatore della Puglia Michele Emiliano. Ma in caso di scissione il gruppo si potrebbe ampliare tanto che sarebbero tentati anche il governatore della Toscana Enrico Rossi, candidato alla segreteria del Pd e tra i più severi critici di Renzi, e quello del Piemonte Sergio Chiamparino. Uno schieramento del genere forzerebbe probabilmente la mano anche Luigi de Magistris, il sindaco di Napoli che progetta a sua volta di farsi leader della sinistra Ma indipendentemente dalle possibili adesioni eccellenti, è certo che la nascita di un partito dalemiano e la scissione del Pd eserciterebbero una potente forza centripeta, e il prezzo che pagherebbe Renzi nelle urne, scontando così ancora una volta lo sbaglio di sottovalutare Massimo D’Alema, sarebbe salatissimo.