Doveva essere l’avversario ideale per Renzi: perbene, non troppo fissato col marketing politico, ex Pci e quindi di per sé passatista. E invece il guardasigilli Andrea Orlando rischia di diventare un grosso rompiscatole di sinistra, persino un pelo più deciso di Michele Emiliano. Se non altro perché il pugliese, ha un profilo meno sgobbone del guardasigilli per potersi permettere di fare le pulci agli altri con tanto puntiglio. Lo scrive persino il Financial times: la sfida di Orlando rappresenta «la più seria minaccia per Renzi». Gli fa eco lo scissionista Massimo D’Alema che si lascia andare a un vero e proprio endorsement: «Con Orlando segretario si potrebbe riaprire il dialogo, sarebbe sicuramente un grosso passo avanti». E poi: «Ha condiviso con Renzi anche scelte sbagliate, ma si muove con l’intento di ricomporre l’unità del centro sinistra».

Ec’era da aspettarselo. Troppo comodo l’Orlando guardasigilli. Sempre gentile, sempre pronto a mediare. “Il tempo è scaduto”, dice ora spazientito per l’afasia del Senato sulla prescrizione. Ecco, una bella risposta pure a Rosy Bindi, che in un forum su “Repubblica tv” lo definisce così: “Un candidato vero ma in tre anni non ha detto un fiato contro Renzi”. Poi aggiunge: “Adesso si sente qualche suo distinguo”. Viene il sospetto che se ne sentiranno parecchi. Da candidato e da ministro. Da avversario di Renzi, già ribattezzato “il prepotente”, e da guardasigilli che deve sopportare i tiraemolla dei partiti: quel “tempo scaduto sulla prescrizione” è pronunciato a Palermo, all’incontro con i giovani del Circolo musica e cultura “Cento passi”. Sono loro a chiedergli della vicenda di Torino, del processo per stupro decaduto dopo 20 anni. E lì che Orlando tira fuori la prescrizione, forse anche un po’ impropriamente perché il caso è frutto di incredibile incuria. Ma a questo punto le precisazioni non gli interessano più: “C’è un ddl penale che ora torna in aula, con delle norme che riformano la prescrizione: sarebbe il caso di approvarlo subito, ma vedo che alcuni gruppi dicono di doverci pensare ancora un po’. E allora che ognuno si assuma le proprie responsabilità”.

Mai sentito Andrea Orlando parlare così da ministro della Giustizia. Doveva essere l’avversario ideale per Renzi: perbene, non troppo fissato col marketing politico, ex Pci e quindi di per sé passatista. E invece rischia di diventare un grosso rompiscatole di sinistra, persino un pelo più sadico di Michele Emiliano. Se non altro perché quello, il pugliese, ha un profilo meno sgobbone del guardasigilli per potersi permettere di fare le pulci agli altri con tanto puntiglio. Lo scrive persino il Financial times: la sfida di Orlando rappresenta “la più seria minaccia per Renzi”, anche perché rispetto al governatore gode di “maggiore credibilità” tra i parlamentari pd. E il sigillo finale arriva da Massimo D’Alema: «Con Orlando segretario si può riaprire il dialogo».

Di mattina a Radio Anch’io il candidato segretario esordisce così: “Mi candido perché sono sicuro di vincere”. E va bene, ci mancava dicesse il contrario. Poi però butta lì un cosa più insidiosa: “Io ho bisogno di più tempo dei miei competitori: almeno il doppio. Perché io non voglio solo parlare, mi interessa molto ascoltare”. Ecco: i due candidati che sembravano essere partiti in vantaggio dovranno pensarci. Con questo discorso, Renzi soprattutto rischia di passare per quello che sa già tutto e non ha bisogno di sentire pareri. Smentirebbe l’insinuazione di Orlando solo in un modo: con il rinvio delle primarie. Impensabile. Il ministro– candidato può segnare un altro punto a favore: lui è quello che vuole tendere l’orecchio al popolo della sinistra. Ascoltarne il disagio. E cambiare la griglia delle soluzioni. Di fronte a uno che non ha voluto sentire ragioni, ha scommesso tutto sul referendum e ne è uscito malconcio, la chiave può essere interessante.

Il Guardasigilli parla molto della mafia che “non abbiamo ancora sconfitto”. Ricorda la figura di Peppino Impastato, esalta il riutilizzo dei beni confiscati (“è un’intuizione geniale”) e quindi indirettamente l’aggiornamento delle regole in materia, che porta anche la sua firma. Inevitabile che, dei risultati messi a segno da ministro, Orlando si farà vanto. Però rischia di dover ascoltare l’appello di Rita Bernardini, e stralciare la delega sulla riforma penitenziaria, qualora il ddl penale davvero restasse incagliato a Palazzo Madama. Intanto lui rimette la palla nel campo di avversari e alleati. Di quelli che ci “devono pensare ancora un po’”. Di chi parla? Anche dell’Ncd. E pure su questo invia un segnale di distinzione: “È difficile allearsi con una forza che si chiama Nuovo centrodestra”. Lui che si definisce candidato di sinistra se lo può permettere. Che poi la battuta preluda a una rottura in Senato sulla prescrizione, è da vedersi. Non è detto che sia tra i senatori di Alfano il problema. In un’intervista rilasciata due giorni fa al “Dubbio”, il presidente della commissione Giustizia Nico D’Ascola, di Ncd, ha assicurato che il suo gruppo sarà leale. Persi alla causa sembrano i verdiniani di Ala. E con la scissione bersanian– dalemiana sii affrancano dalla disciplina di partito alcuni senatori ex dem di orientamento non proprio garantista. Tre nomi su tutti: l’ex pm Felice Casson, che vuole la prescrizione interrotta dopo il primo grado, la severissima Lucrezia Ricchiuti, civatiana, e Doris Lo Moro, magistrata pure lei. Darà la colpa a loro, Orlando, se il ddl penale salterà? Di certo non si spaccherà la schiena per inseguire una mediazione fino all’ultimo. Renzi dimentichi il suo ministro, avrà a che fare con un grosso rompiscatole di sinistra.