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«Potenziare l’utilizzo delle intercettazioni». Il contratto per il governo del cambiamento, al capitolo “Lotta alla corruzione”, così recita. Ma cosa significa “potenziare”? Non è chiaro. Sembra un verbo tirato lì per fare bella figura. Con l’elettorato grillino trinariciuto e assetato di vendetta, ovviamente. Perché la Lega, di intercettazioni “potenziate”, farebbe volentieri a meno. Non è un caso d’altra parte se il successore di Andrea Orlando non sarà Nicola Molteni, plenipotenziario di Salvini sulla Giustizia, ma, almeno secondo le indiscrezioni filtrate fino a ieri sera, Alfonso Bonafede, fedelissimo di Luigi Di Maio. Se l’economia sarà dunque il campo in cui il segretario lumbard si giocherà tutto, il capo po- litico dei cinquestelle intende piantare in cima a via Arenula una delle bandiere più sgargianti. E dunque, quel “potenziare le intercettazioni, in particolare riguardo ai reati di corruzione” va inteso in chiave grillina: ovvero, più intercettazioni per tutti. Certo, per i corrotti, ma anche per altri. Potenziare significa semplicemente avere una potenza di fuoco maggiore, punto. Non si dice qual è la traduzione effettiva, procedimentale, del rafforzamento. È vero che ci sarebbe un’ipotesi a portata di mano: consentire l’uso dei virus spia, i cosiddetti trojan horse, nelle indagini per corruzione anche quando l’indagato si trova all’interno del proprio domicilio. Nel decreto varato da Orlando e Gentiloni a fine 2017 c’è stato un lieve correttivo, nel senso che si è passati dalla previsione della delega secondo cui l’uso dei trojan nel domicilio delle persone sospettate di corruzione sarebbe stato consentito solo qualora “ivi si stia svolgendo l’attività criminosa”, alla formula qualora “vi è motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l’attività criminosa”. Se diventasse guardasigilli, Bonafede proporrebbe certamente di eliminare ogni barriera all’uso dei super– invasivi captatori informatici contro la corruzione, con una “deregulation” oggi prevista solo per i reati di mafia e terrorismo.
Il “potenziamento” si fermerebbe qui? C’è da credere di no. Si cercherebbe qualche altra forzatura, per esempio sugli aspetti autorizzativi. Ma in ogni caso si dovrà tenere conto di due cose. La prima: il prossimo 12 luglio il decreto Orlando entrerà in vigore. La seconda è che su alcuni limiti di quel provvedimento, magistrati e avvocati sono in sintonia. Chiedono gli stessi correttivi. Soprattutto, sollecitano il ripristino della trascrivibilità per tutte le comunicazioni, in modo che sia il pm, e non la polizia, a valutare il materiale raccolto; e, dal punto di vista degli avvocati, in modo che la difesa possa orientarsi nel mare delle conversazioni grazie al supporto cartaceo, e poter così scovare senza impazzire qualche elemento utile alla posizione degli indagati.
La convergenza di interessi tra toghe e penalisti è evidente: all’ultima riunione del direttivo, il presidente dell’Anm Francesco Minisci è tornato a parlare di una «riforma che cambia ma non migliora, e che perciò non è una buona riforma». Secondo il vertice del “sindacato” delle toghe, l’aspetto problematico è nelle «migliaia di intercettazioni, scartate dalla polizia giudiziaria» che «andranno in un archivio riservato, con danni per le indagini e il diritto di difesa». C’è un fronte oggettivamente unitario, tra Anm e Unione Camere penali: e questo è un elemento con cui Bonafede ( o chi per lui) dovrà fare i conti: non potrà forzare più di tanto. Non potrà spingersi verso una sorta di totale far west, nell’uso del più pervasivo degli strumenti d’indagine, perché rischierebbe di trovarsi contro non solo Camere penali e Cnf, ma la stessa Associazione magistrati, poco interessata ad assecondare una deregulation incontrollata e a rompere così l’intesa con l’avvocatura. Il guardasigilli a cinquestelle dovrebbe essere anche la consacrazione dell’idillio tra politica e toghe: bruciare quella presunta affinità elettiva isolerebbe anche sulla giustizia un esecutivo già assediato da legittime diffidenze. Ecco perché il “potenziamento” evocato nel contratto potrebbe finire per tradursi in lievi ritocchi. O addirittura in un rinvio dell’entrata in vigore del decreto Orlando, sollecitata dai magistrati ma anche dai penalisti. Si farebbe bella figura, dal punto di vista dell’esecutivo gialloverde, già per la mera abiura a un prodotto della stagione precedente. E si eviterebbe di complicarsi la vita: tutto resterebbe com’è. Molto gattopardesco, ma anche assai probabile a verificarsi.