Depositata due giorni fa in commissione Giustizia alla Camera una proposta di legge di Forza Italia, a prima firma del deputato Tommaso Calderone, dal titolo “Modificazioni al Codice di procedura penale in materia di attuazione dei principi del giusto processo”. Secondo quanto riportato nella relazione introduttiva, nell’ambito dell’articolo 430 che, nel codice di rito, «regola la delicata fase che intercorre tra la fine delle indagini preliminari e l’inizio del processo penale, si può notare come le garanzie poste a tutela della persona rinviata a giudizio sono di fatto eluse da disposizioni che possono integrare una grave compressione del diritto di difesa» di chi è sottoposto a procedimento penale. Come è noto, prosegue la relazione, «il termine ultimo per la richiesta di accesso ai riti alternativi è costituito dall’udienza preliminare» .

Ed è evidente che «l’assunzione di ulteriori prove da parte del pm, unitamente alla ridetta preclusione costituita dall’udienza preliminare, nella sostanza rischia di inficiare in radice il giudizio prognostico fatto dall’imputato alla chiusura delle indagini preliminari circa l’opportunità di fruire o meno del patteggiamento ovvero del giudizio abbreviato» .

Calderone, capogruppo Giustizia di FI, presenta il testo insieme con gli altri due deputati azzurri della seconda commissione, Annarita Patriarca e Pietro Pittalis. Il parlamentare siciliano spiega la novità della norma a partire dal fatto che, dal termine delle indagini alla udienza preliminare, «il pm può solo assumere prove sopravvenute: se ad esempio poteva sentire un testimone nel corso delle indagini preliminari e non vi ha provveduto, non può più farlo quando quella fase è conclusa». Potrà assumere, a quel punto, «solo prove sopravvenute, e non quelle che doveva o poteva assumere nella loro sede tipica».

Stessa condizione è prevista tra il rinvio a giudizio e l’inizio del processo. Calderone fa il seguente esempio: «Il giudice dell’udienza preliminare il 1° febbraio 2024 rinvia a giudizio l’imputato e fissa la prima udienza dibattimentale per il 30 aprile. In questo lasso di tempo il pm può acquisire solo prove sopravvenute», ad esempio sentire un nuovo testimone. «La novità significativa di questa norma – ci spiega Calderone – è che si deve rimettere in termini il giudizio abbreviato o il patteggiamento».

In altre parole, se l’imputato è sicuro che il pubblico ministero non ha prove sufficienti per la condanna, decide di andare a dibattimento. Tuttavia, se nel frattempo la pubblica accusa ha acquisito nuove prove che potrebbero mettere in dubbio l’esito assolutorio, all’imputato verrà dato il diritto, nella prima udienza del processo, di accedere al rito abbreviato ( che non ha bisogno dell’avallo del giudice) o al patteggiamento ( che è a discrezione del giudice). La proposta di legge dunque «intende rendere pieno ed effettivo il diritto di difesa: nei casi di attività integrativa d’indagine, procrastina per l’imputato l’opzione di accesso ai riti alternativi, così fondata sull’effettiva e completa conoscenza di tutti gli elementi a suo carico» . Già la riforma Cartabia tende a favorire i riti alternativi: questa proposta va in tale direzione.

Il testo di FI prevede anche l’abrogazione dei commi 1- ter e 1- quater dell’articolo 581 del codice di procedura penale, relativi all’elezione di domicilio e all’obbligo di conferire un nuovo specifico mandato al difensore per le impugnazioni. Secondo Calderone, le due norme sono inutili: «Non servono alla collettività né all’imputato, e neppure a velocizzare i processi: sono solo dannose per l’avvocato e gli assistiti più deboli». Una disfunzione più volte segnalata dal Cnf e dall’Unione Camere penali, che proprio per quel passaggio della legge Cartabia è in stato di agitazione. Il ministro Carlo Nordio ha incontrato due volte i vertici dell’Ucpi e assicurato loro di condividere la necessità di abrogare quei commi, con lo strumento legislativo più rapido possibile.

Da quanto appreso da fonti di via Arenula e Presidenza del Consiglio, la richiesta di abrogare le norme in questione avrebbe avuto il placet anche del sottosegretario Alfredo Mantovano, che ha un peso notevole nelle scelte di Palazzo Chigi sulla giustizia. Ma serve un via libera anche dal ministro per gli Affari Ue Raffaele Fitto e addirittura da Bruxelles: se l’abrogazione fosse ritenuta ostativa al raggiungimento degli obiettivi del Pnrr, sarebbe accantonata. Il che conferma come l’Italia, sulla giustizia e non solo, sia in una sorta di libertà vigilata da parte dell’Ue.