Se esiste una “giustizia a orologeria”, evidentemente questa può agire in senso positivo e non solo negativo. Se si accetta infatti la tesi secondo la quale una parte della magistratura utilizza le inchieste con finalità politiche ( e spesso si tratta di un dato di fatto) allora è lecito altresì ipotizzare che la politica possa impiegare la propria moral suasion sugli alleati internazionali per venire a capo di vicende spinose o imbarazzanti nei confronti dell'opinione pubblica, soprattutto in un periodo di campagna elettorale.

All'interno di questo punto di vista, dunque, si può certamente affermare che questo sia uno dei terreni su cui il governo Meloni si sta muovendo meglio e ottenendo successi indiscutibili. Anche perché - e si tratta certamente di un altro elemento a favore dell'attuale esecutivo - sono successi ottenuti presso governi di segno politico piuttosto differente tra loro.

Partiamo dall'attualità: il trasferimento di Chico Forti da un penitenziario statunitense a uno italiano è ormai cosa fatta, ed è innegabile che, dopo 24 anni di detenzione, a seguito tra l'altro di una condanna che lasciava molti dubbi, emersi anche a livello processuale, rappresenta un risultato che si deve all'impegno personale della premier, che già quando era all'opposizione aveva presenziato a varie iniziative per il ritorno in Italia di Forti.

A fare il resto è stato il buon feeling che si è creato col presidente americano Biden in questi mesi di governo, un feeling tanto oggettivo da stimolare gli attacchi e il sarcasmo dei media più vicini a Trump.

Ma il lato singolare della vicenda è che ogni caso che ha visto cittadini italiani, o residenti in Italia, incarcerati all'estero ha avuto un seguito orientato politicamente: sul caso Forti c'è stata maggiore sensibilizzazione da parte del centrodestra o di associazioni non certo di sinistra ( tanto che negli ultimi due giorni i comunicati stampa di rallegramento sono provenuti quasi esclusivamente da esponenti della maggioranza), mentre per Patrick Zaki e per Ilaria Salis il movimento di opinione pubblica è arrivato dalla sinistra,

con tanto di candidatura, come è noto, nel caso dell'attivista italiana detenuta a Budapest. In questo quadro politico asimmetrico, la soluzione per il detenuto più caro alla destra è arrivata per impulso di un governo politicamente lontano dal nostro come quello dem di Biden, mentre delle implicazioni della vicenda Salis e dei fattori che hanno portato alla detenzione domiciliare è stato detto già molto, soprattutto per quello che riguarda i riflettori Ue sull'operato di Viktor Orban. A livello diplomatico, infine, la soluzione trovata per Zaki è stata particolarmente brillante, con la grazia concessa dal leader egiziano Al Sisi, in modo da non sconfessare l'operato - chiaramente ostile al detenuto - della magistratura locale e da ribadire l'autorità del Rais. Situazioni diverse, governi democratici da una parte e meno dall'altra, ma esiti parimenti positivi, con intenzioni nobili, come il rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani per i nostri connazionali, ma anche frutto di considerazioni politico- elettorali.

L'accelerazione su Salis e l'ufficializzazione per Forti consentono alla premier di andare in campagna elettorale certamente con tanti fronti aperti nella dialettica coi partiti che competono con essa ( tra i quali vanno messi in questo caso anche gli alleati di maggioranza, nella logica del proporzionale) ma non quello della politica estera e dell'efficacia delle interlocuzioni diplomatiche. Il che, oltre a far bene al partito della presidente del Consiglio, fa bene anche a quello del ministro degli Esteri. Con tutta evidenza, il tandem Matteo Salvini- Roberto Vannacci dovrà puntare su altro.