In discussione non c'è il 'se' ma il 'quando' e il 'come'. Se anche Giuseppe Conte non volesse dar vita a un suo partito, e si tratta di un periodo ipotetico dell'irrealtà, sarebbe a questo punto costretto a farlo dalle pressioni imperiose che lo spingono da più parti in quella direzione. Ieri le agenzie di stampa erano un florilegio di dichiarazioni pentastellate nelle quali generali e ufficiali confessavano di interrogarsi sulla loro permanenza nel Movimento. Si interroga anche Vito Crimi, un fedelissimo fino a qualche nanosecondo fa, che ora non esita ad azzuffarsi con l'Elevato sulla legalità del voto sulla piattaforma Rousseau.

La presa di Conte sugli eletti, o su una percettuale ampia di loro, è indiscutibile ma non c'è solo questo. L'incognita del doppio mandato pesa altrettanto e forse anche di più e chi verrebbe fatto fuori da quelle regola non più aurea è comprensibilmente attratto da un partito che avrebbe spiacevoli limiti del genere. Eppure neppure questo è decisivo. L'elemento chiave, come spesso capita, è la sensazione che quella sia la carta vincente, il carro destinato a correre, all'opposto dell'astro calante del gran capo descritto ormai da molti, inclusi parecchi sin qui adoranti, come una specie di pazzo furioso. La politica c'entra poco, anche perché se ne è discusso poco e niente. Per la prima volta forse nella storia una formazione politica cambia radicalmente il proprio dna senza neppure discuterne, senza che emergano dubbi, necessità di chiarimenti, richieste di chiarificazione. La partita è apertamente giocata solo sul nome del Cesare di turno, quale più adeguato ai tempi e quale passato di moda. Se per capriccio dei sondaggi domani si scoprisse che a tirare è ancora l'uomo del vaffa e non l'avvocato del popolo e se sparisse per incanto la maledizione dei due mandati molti di quelli che ' si interrogano' sul senso della loro permanenza nel M5S si risponderebbero permanendo.

Un capitolo a sé merita la sinistra del Pd, oggi concentrata in Articolo Uno, componente ( ormai quasi unica) di Leu. Da mesi nessuno esalta e difende Conte con trasporto maggiore di Bersani e del gruppo di ex notabili Pd ritrovatisi più o meno homeless. Neppure i 5S hanno difeso il governo Conte con più veemenza di loro. Nessuno si mostra a tutt'oggi più scettico nei confronti del governo Draghi. In termini di percentuale contano poco, è vero. Ma non ci sono solo i sondaggi e il gruppo di Articolo Uno porterebbe in dote quell'esperienza politica che manca sia a Conte che agli eventuali transfughi dei 5S, una rete di rapporti intessuti nel corso di una militanza a e di una carriera di lungo o lunghissimo corso, una capacità amministrativa, in alcuni casi, indiscutibile nonché un rapporto stretto con i sindacati e in particolare con la Cgil. La loro presenza basterebbe a qualificare come ' di sinistra' il partito di un leader al quale la formuletta in questione non si riesce a estorcerla neppure con le tenaglie.

Articolo Uno e i suoi leader, Bersani e Speranza, sono convinti da un pezzo che non si possa affrontare l'agone elettorale con il proprio simbolo. Prevedono risultati catastrofici e probabilmente hanno ragione. L'interlocuzione con il Pd è però faticosa e di dubbio esito. L'apparizione miracolosa di un partito nuovo di zecca e che oltre tutto se non proprio di sinistra sarebbe almeno ' contro la destra' li trarrebbe fuori dal vicolo cieco di corsa.

Poi c'è Il Fatto, ed è una presenza di primissima grandezza. Per gli elettori reali e potenziali dell'area pentastellata la parola di Travaglio è più o meno Vangelo e Travaglio punta dritto al partito contiano. Era schieratissimo sin dall'inizio ma negli ultimi giorni ha rotto gli argini fino a lanciarrsi in un appello agli eletti 5S perché ' lascino solo' il Folle che, parola di san Marco, ' scambia le allucinazioni per visioni'. Il partito che ancora non c'è insomma ha già un house organ, una massa di parlamentari, un certo numero di ' quadri' e di amministratori esperti.

Non basta a fare un partito. Ci vorrebbe un progetto politico, ma a queste facezie non guarda più nessuno. Ci vorrebbe una linea, e lì il guaio è più serio perché il partito di Conte non può essere troppo draghiano anche se gli anti draghiani doc resteranno o torneranno nella casa madre. Ma soprattutto ci vuole un leader e, al contrario delle apparenze, non è affatto detto che ci sia. O almeno non è detto che sia in grado di ricoprire il ruolo. Conte ha gestito peggio di come non si poteva la crisi finita con la sua dipartita da palazzo Chigi. Ha bissato con lo psicodramma della leadership 5S. Nulla autorizzi a credere che si comporti in questo frangente con maggiore perizia. Ma un primo segnale lo si avrà presto. Se come sua abitudine Peppi prenderà tempo e rinvierà la decisione invece di battere il ferro subito sarà il più infausto tra i presagi.