Andrà o non andrà Massimo D’Alema alla direzione del Pd convocata per lunedì 4 luglio? Anche la data si annuncia cinematograficamente simbolica: «Nato il 4 di Luglio» è il titolo del film di Oliver Stone dove Tom Cruise indossa i panni del reduce dal Vietnam Ron Kovic. E dunque, paragoni cinematografici a parte, l’ex premier, l’ex segretario del Pds-Ds, oppositore numero uno e da sempre apertamente, con la schiettezza che gli è propria, indosserà, a sua volta, i panni del reduce (seppur certamente rinvingorito e anzi “rinato” a differenza di Kovic che tornò malconcio) dalla guerra del Pd, che più che a quella del Vietnam assomiglierebbe a una piccola Beirut di correnti, fazioni, sotto-fazioni?La suspence durerà fino all’ultimo. D’Alema è tipo da decidere abbastanza al momento, dopo aver ovviamente valutato accuratamente pro e contro. In tv sere fa a “Ballarò” ha ribadito che per lui è inutile partecipare a discussioni dove in sostanza non si discute. Anzi, ha rincarato la dose, dicendo che sarebbe «impossibile» parlare e per giunta «in una sala stretta dove ci sono quasi tutti supporter del premier», supporter, a suo dire, vigorosi. Chissà forse in tutti i sensi, diciamo? D’Alema ha anche detto che alla fine «Matteo Renzi ha costruito le sue fortune solo sulla mia rottamazione».Il premier e segretario del Pd al solito gli ha risposto a muso altrettanto duro che lui così «danneggia» solo il Pd. Come ha riferito lo stesso ex premier a Ballarò, lui alla direzione non va più da quando Renzi «l’ultima volta mi rispose: con D’Alema si perde». Ora però, se lunedì “Max” tornerà, versione Conte di Montecristo o di “rinato” il 4 di luglio, potrà esibire al premier e segretario, tutti i dati delle brucianti sconfitte di Roma e Torino. Sembra che la continua accusa di aver cambiato atteggiamento con Renzi dopo che è stata prescelta al posto suo in Europa Federica Mogherini, sia una cosa che D’Alema liquiderebbe come “stupida” e stantia. Perché il punto non sarebbe quello, ma come ha sempre detto, è invece il ruolo della sinistra in Italia, il problema dell’astensionismo rosso, il ruolo delle socialdemocrazie.E a questo proposito avrebbe fatto notare ai suoi che lui è presidente della Feps (la fondazione di studi dei progressisti europei) dal 2010, ovvero da prima ancora che il Pd fosse ammesso a pieno titolo nel Pse. Come si sa, in quel periodo mentre nel Pd continuava il balletto di discussioni se il partito dovesse o meno far parte della famiglia dei socialisti europei, nel Pse in Europa stava Gianni De Michelis, e il Pd, reduce oltre che dalla Margherita, dall’ex Pci-Pds, che tanto fece per entrare nell’Internazionale socialista, ancora no.Gli ex Dc frenavano e anche alcuni ex Ds di ispirazione più americaneggiante come Walter Veltroni, fondatore dei Dem. Sia come sia, D’Alema in Europa sta comunque. Anche una decina di giorni fa proprio a ridosso di Brexit ha partecipato, come regolarmente fa in qualità di presidente della Feps, a una cena di commissari progressisti europei. Lunedì sarà dunque Massimo contro Matteo o viceversa? Il punto però che anche vista la data, il 4 di luglio, per molti elettori smarriti la furia rottamatrice e la conseguente guerra di reazione o di posizione debba a un certo punto cessare. Al di là dei due grandi duellanti, il resto del partito è in ebollizione. Brexit rende oggettivamente il premier e segretario più forte. Ma la minoranza di Roberto Speranza e Gianni Cuperlo non demorde: basta doppio incarico, cosa che ha ribadito anche D’Alema in tv, e basta voti sulla fiducia al buio sulle politiche sociali. Cambiamento dell’Italicum che a questo punto starebbe davvero diventando la condizione per poter votar sì al referendum costituzionale. Dovrebbe essere rinnovata da parte di più aree sembra anche da quella di Dario Franceschini la richiesta di dimissioni da commissario dem a Roma di Matteo Orfini, che però è anche presidente del partito. I Giovani Turchi, capeggiati da Orfini ora però indebolito, starebbero guardando al ministro della Giustizia Andrea Orlando come possibile competitor di Renzi al congresso. Poi c’è il caso Fassino, che non avrebbe davvero mandato giù la sconfitta a Torino. Ironizza ma affettuosamente un dem: «Mandiamolo all’Onu, ora che l’Italia ha un posto nel Consiglio di Sicurezza. Però non è uno scherzo: Piero è bravissimo anche sulla politica internazionale».