Che qualcosa sia destinato a cambiare, nel rapporto tra Draghi e i partiti, tra il governo e la sua maggioranza è inevitabile. Non si può pensare che le forze politiche affrontino l'anno pre-elettorale relegate in panchina a fare da spettatrici come hanno dovuto dare nell'ultimo anno. Il problema si sarebbe posto comunque ma tanto più dopo che Draghi, nonostante l'appoggio di un Mattarella decisivo, è uscito indebolito dal tentativo fallito di scalare il Colle. Inoltre proprio quell'ostilità sorda e diffusa dei parlamentari, che probabilmente il premier non si aspettava o non in questa misura, lo spingono a costruire un rapporto più stretto con le forze politiche e soprattutto con il Parlamento, in particolare dopo il monito in realtà molto severo del presidente rieletto.

Essendo tutto questo noto sin dal giorno stesso della rielezione di Mattarella, la previsione più diffusa immaginava una serie di esplosioni centrifughe, probabilmente contenute almeno fino all'autunno ma rumorose, con i partiti l'un contro l'altro armati come campagna elettorale comanda. In realtà le tensioni stanno per ora montando in un'altra direzione come era forse inevitabile: non verso un confronto tra i diversi partiti ma tra i partiti tutti, certo con accenti diversi, e il governo. È una differenza di portata notevole: la battaglia elettorale tra i partiti si combatte infatti essenzialmente intorno a temi di bandiera o almeno resi tali. L'esempio più recente ed eloquente è l'insistenza della Lega contro le misure anti Covid decise dall'esecutivo e appoggiate da praticamente tutti gli altri partiti. Si è trattato di campagne puramente propagandistiche, allestite per contendere all'opposizione di Giorgia Meloni il consenso delle aree inviperite con il rigore di Draghi e Speranza, che però non hanno mai costituito minaccia di sorta per il governo e non hanno pertanto mai impensierito Draghi. In uno o in più scontri tra i partiti e il governo, invece, il campo di battaglia è inevitabilmente quello, molto più infido, dei provvedimenti reali, quelli che incidono a fondo sulla vita degli elettori di ogni bandiera.

Non tanto le grandi riforme del Pnrr, non sino a quando non verranno tradotte in misure concrete di impatto quotidiano. Piuttosto le scelte necessarie per fronteggiare i problemi immediati: su tutti la crisi energetica. Non si tratta di un semplice ostacolo ma di una minaccia potenzialmente letale: l'aumento del costo dell'energia pesa immediatamente sulle tasche delle famiglie e delle aziende, innesca un processo inflattivo destinato ad allargarsi e che riverbera direttamente sul Pnrr perché altera sensibilmente il costo dei materiali, come sa sin troppo bene il ministro delle Infrastrutture Giovannini. Prima o poi provocherà un terzo effetto fortemente negativo, perché salvo miracoli costringerà la Bce ad alzare i tassi d'interesse.

In ballo c'è dunque tutto: il consenso, la tenuta psicologica del Paese, la ripresa stessa. Sulla necessità di intervenire non c'è dunque distinguo fra Draghi e la maggioranza. Ma nella declinazione pratica dell'ottima intenzione, invece, una distanza già esiste sotto traccia e potrebbe allargarsi: sia sulla destinazione del sostegno sia, soprattutto, sulla determinazione di Draghi a evitare lo scostamento di bilancio, il che potrebbe ridurre la portata dell'intervento. È un problema della stessa natura, pur se non del medesimo formato, anche il nodo del Superbonus, oggi frenato dalla stretta sulla cessione del credito inserita dal governo nel dl Sostegni 3 per provare a contrastare quella che ieri il ministro Franco ha descritto più o meno come la vicenda truffaldina peggiore della storia della Repubblica. I partiti insistono per cancellare la stretta. I 5S, in primissima linea, arrivano a dichiarare che le truffe non devono fermare gli investimenti. Più cauti con le parole Letta e Salvini sono sulla stessa linea. Draghi e Franco concederanno qualcosa, forse molto, ma non intendono ingranare la retromarcia.

Dall'esito di queste due vicende, che per ora sono ancora a livello di titoli e ricerca di soluzioni ma che la settimana prossima diventeranno invece decreto si capirà molto del nuovo corso dell'era Draghi. Una cosa però è già chiara: nella conferenza stampa di ieri il premier ha più volte insistito, sia sulla riforma del Csm garantendo che non ci sarà voto di fiducia sia sul Superbonus che la soluzione verrà trovata in e con il Parlamento. Già questo è il segno di una fase del tutto diversa da quella precedente.