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Carlo Calenda si lamenta. Di tutti. Di Antonio Tajani, per cominciare: «Dopo un’estate in cui FI ha parlato solo di Ius scholae, oggi ( ieri, ndr) ha votato contro lo Ius scholae, ma non su un testo diverso da quello di cui parlava: era esattamente lo stesso. Tajani dice cose liberali, e fa cose esattamente uguali a quelle che faceva prima di dire cose liberali: si può andare avanti in questo modo?». E va bene, d’altronde anche la mossa di Calenda – proporre a Montecitorio la norma sulla cittadinanza vagheggiata dagli azzurri dopo che il capogruppo forzista Barelli aveva annunciato di voler procedere, sul punto, dopo un confronto con gli alleati – è tattica purissima, dello stesso conio rinfacciato a Tajani.
Solo che Calenda parla male pure del campo larghissimo, giacché, come ha detto ieri nell’intervista al Corriere della Sera, non ha un’agenda di governo: l’alleanza di centrosinistra, secondo il leader di Azione, «ha posizioni difformi al suo interno sulla politica estera, sulla politica industriale, sul lavoro, sulla giustizia». Ecco, la giustizia, per l’appunto: il punto debole sul quale è Calenda a essere bersaglio altrui.
In particolare di uno dei sui parlamentari più attivi, valenti e “visibili”: il deputato e responsabile Giustizia Enrico Costa. Il quale, nello scorso fine settimana, si è lamentato apertamente, in un colloquio col Giornale, del patto siglato dal suo partito, Azione, e dal suo leader Calenda, con Andrea Orlando in Liguria.
Secondo Costa, il campo larghissimo, e il candidato governatore voluto da Elly Schlein, sfidano il centrodestra a partire da una piazza giustizialista, allestita contro Giovanni Toti nell’ambito di una vicenda giudiziaria in cui, si può aggiungere a corredo, i magistrati hanno contestato il diritto stesso della politica a cercare sostegni economici. A un garantista come me, è il ragionamento di Costa, una cosa del genere non la si può chiedere. Toglietemi tutto ma non venite a propormi un’alleanza ligure costruita sulle manette. Sembra un preavviso di rottura con Azione e con Calenda, per il deputato ed ex sottosegretario alla Giustizia che ha, tra i tanti, pure il merito di aver “costretto” l’Italia a recepire la direttiva Ue sulla presunzione d’innocenza.
Difficile capire come finirà. Ieri, nell’incontro coi giornalisti alla Camera, Calenda ha dato l’impressione di volerci mettere una pezza. Non solo e non tanto con la battuta sull’incapacità del campo largo di trovare un minimo comune denominatore sulla giustizia. Il leader di Azione si è spinto a riconoscere che il sindaco di Genova Marco Bucci, appena scelto dal centrodestra come avversario di Orlando, «è una persona seria e perbene» e che questo «deve spingere ancor di più il centrosinistra a fare una campagna, come noi abbiamo preteso, se no non avremmo fatto quest’alleanza, sulla base di contenuti puntuali, e non sulla base di accuse giustizialiste». Basterà a spingere Costa verso l’abbraccio col Pd e, soprattutto, coi 5 Stelle? Pare difficile. Il responsabile Giustizia di Azione, sempre più scettico, non pare intenzionato ad compiere passi definitivi, per ora. Ma un suo ritorno nel centrodestra, e magari in Forza Italia, sembra un epilogo assai più naturale della permanenza nell’ormai fu Terzo polo.