Nell’assordante silenzio di Giorgia Meloni, mentre il ministro dell’Interno si prodiga in interviste e conferenze stampa ( forse nel tentativo di togliere l’innesco alle opposizioni che gli chiedono di riferire in Parlamento, o di dimettersi), il caso dei ragazzi di Pisa manganellati resta in cima all’agenda del Quirinale. Tanto che il Presidente, visto che la premier sembrava non essersene data per inteso, il giorno dopo la chiamata a Piantedosi ha telefonato anche a Giorgia Meloni. E questo è il probabile segnale di una ulteriore preoccupazione presidenziale, sottesa agli accadimenti: alle viste ci sono molti appuntamenti del G7 a guida italiana, se si esaspera l’inclinazione repressiva e violenta contro le pubbliche manifestazioni di dissenso, che accadrà? Lo spettro dei tragici eventi, della esecrabile gestione di piazza e della “macelleria messicana” della Diaz- come la definì un funzionario o di polizia in un’aula di tribunale- del G8 di Genova è ancora fresco, e brucia, nella memoria della pubblica opinione. E non solo in Italia.

Sergio Mattarella, scorrendo i filmati delle cariche dei celerini che stringevano gli studenti inermi in un viottolo attiguo alla Normale di Pisa per ben due cariche, spingendosi pure a inseguire uno ad uno i pochi sfuggiti ai manganelli, deve aver provato un moto di incredula rabbia. Ha telefonato al responsabile governativo dell’ordine pubblico - Matteo Piantedosi, con il quale il Quirinale ha consuetudine sin dai tempi in cui era capo di gabinetto di Matteo Salvini. Ed è un inedito nella storia repubblicana il testo della nota ufficiale, pesata sin nelle virgole, con cui si è reso pubblico lo scambio. Una nota durissima, con un’unica non secondaria concessione, tra due virgole: Piantedosi “ha convenuto” con quanto il capo dello Stato gli andava dicendo. Perché altrimenti, senza quell’inciso, al ministro non sarebbe rimasta che un’unica possibilità: dimettersi subito.

Le interlocuzioni tra governo e Quirinale sono ovviamente prassi quotidiana. Ma Mattarella, stavolta, ha ritenuto di rendere pubblico lo scambio. Ha ritenuto di dover mandare un chiaro, esplicito monito, rendendo di pubblico dominio i contenuti - e le motivazioni- della sua telefonata a Piantedosi. In altri tempi, e per altre figure presidenziali, si sarebbe parlato di un’esternazione. Se non fosse che il termine poco si addice allo stile di Mattarella: un altro elemento che fa comprendere il livello e la qualità della sua preoccupazione.

Come la goccia cinese, le “manganellate ai ragazzi” che “sono sempre un fallimento” sono arrivate dopo la proditoria identificazione del loggionista che alla prima della Scadel aveva gridato “viva l’Italia antifascista”, e la richiesta di documenti da parte della Digos a quella decina di dissidenti russi che in omaggio a Navalny avevano deposto fiori davanti alla targa in onore di Anna Politovskaya, col surreale effetto di rendere una via di Milano come la Piazza Rossa. E andando indietro nel tempo, i meloniani che rimproverano ai funzionari di polizia di non aver allontanato gli alluvionati emiliani durante la visita di Meloni e Von der Leyen, gli scontri con i manifestanti a Piazza Montecitorio, fino alle cariche ai cortei pro- Palestina non solo di Pisa, ma anche di Milano e Firenze. Cortei che tra l’altro la destra di governo, anche dopo le parole di Mattarella, ha bollato come “tanto sono tutte manifestazioni pro- Hamas”, mentre a Londra, Parigi, Berlino le piazze si sono riempite di decine di migliaia di persone, senza che vi fosse alcun problema per la loro sicurezza.

Il cuore dell’’esternazione di Mattarella, e la sua evidente preoccupazione, è che in Italia sia garantito come in tutte le democrazie liberali il diritto al dissenso, e alla sua pubblica manifestazione. La frase chiave non è tanto “manganellare i ragazzi è un fallimento”: il messaggio politico lanciato dal Quirinale a Palazzo Chigi sta in quel “«l'autorevolezza delle forze dell'ordine che non si misura sui manganelli ma nella capacità di assicurare sicurezza tutelando al contempo la libertà di manifestare pubblicamente opinioni».

L’unica vera, e pronta, risposta al capo dello Stato è venuta dal capo della polizia Vittorio Pisani, per il tramite del Tg1, la sera stessa. Pisani, a differenza di svariati esponenti della maggioranza (alcuni dei quali sono arrivati a giustificare la carica di polizia Pisa perché “gli studenti volevano arrivare all’ambasciata americana”, che ovviamente a Pisa non esiste), ha parlato di “errore” e declinato con tono istituzionale le garanzie delle pubbliche manifestazioni del dissenso. Guardandosi bene dal parlare di “autorizzazione” delle manifestazioni: esse sono costituzionalmente garantite, e non soggette ad alcun permesso. Con le forze dell’ordine si discute della data, del percorso, del luogo, dell’orario. Il segno più evidente, quell’intervista, della fedeltà alla Repubblica delle forze dell’ordine, ben oltre il colore politico degli inquilini di turno a Palazzo Chigi.

Perché le forze di governo, invece, hanno reagito in ordine sparso ma perfettamente contrario alla direzione indicata da Mattarella, tanto che perfino un moderato come Tajani s’è lasciato andare a un “siamo con la polizia sempre, senza se e senza ma”. Per quanto parlasse a un consesso di partito, per quanto si tratti di tenersi stretto fosse anche solo un pezzetto del proprio elettorato, non un bel parlare per un ministro degli Esteri. Anche per questo si fa sempre più assordante il silenzio di Giorgia Meloni.