GLI SFORZI DI DRAGHI PER RECUPERARE TERRENO PER ORA RISULTANO VANI

La crisi ucraina ha messo in luce le fragilità dell’Italia, costretta a seguire la linea Biden e lasciare a Francia e Germania il compito di mitigare la strategia degli Stati Uniti

Se l'Europa è il vaso di coccio nello scontro tra Russia e Usa che si gioca parte sul terreno ucraino e parte sul fronte della guerra economica l'Italia è il lato più fragile di quel vaso. Comunque la si giri è un guaio. Lo spazio anche solo per un sussurro autonomo sembra essere stato sbarrato già nei primi giorni del conflitto e gli sforzi di Draghi per recuperare un ruolo non approdano a niente. L'insofferenza della cabina di regia europea nei confronti dei dikat della coppia Biden- Zelensky sono sempre meno facilmente occultabili. La reazione della Germania allo sgarbo del rifiuto di ricevere il presidente Steimeier è eloquente. Quello sgarbo però non era una gaffe. Proprio come la reazione durissima e sprezzante, nonché del tutto immotivata, alle parole di Draghi sulla telefonata mancata con Zelensky nelle sue prime comunicazioni al Parlamento l'incidente diplomatico mirava a colpire e mettere in difficoltà, con tutto il peso morale di chi vive sulla propria pelle la violenza dell'invasione, il Paese europeo che impedisce l'embargo sul gas russo, decisione che gli ucraini ritengono vitale per loro. In realtà l'Italia è quasi altrettanto interessata a che quell'embargo non scatti. Però non lo può dire. Deve fingere di essere pronta a pagare il pesantissimo prezzo e restare acquattata dietro la fermezza del cancelliere Scholz.

La reazione della Germania era ovvia e inevitabile ma molto più della “irritazione” fatta trapelare da Scholz pesano altre e meno vistose: quelle nelle quali il governo tedesco si dichiara deciso a fornire ulteriori armi all'Ucraina non però di tipo “offensivo”. La distinzione può apparire risibile, essendo tutte le armi potenzialmente offensive. Qui però si intendono quei mezzi “pesanti” come i carri armati che gli Usa chiedono agli europei, evidentemente senza averli ancora convinti, o almeno non tutti. La nota dolente, per l'Italia arriverà se e quando la richesta ucraina, martellante, e le insistenze di Washington diventeranno una disposizione precisa. In quel caso l'Italia, convinta o meno che sia, si allineerà ma è probabile che le cose in Parlamento filino meno lisce del solito perché il vero dissenso di una parte cospicua dell'elettorato italiano si appunta anche e forse soprattutto, ancor più che sulle sanzioni, proprio sulla scelta di prendere partito non solo ideale nella guerra, partecipando direttamente, sia pur in modo passivo, con le armi.

Scholz non è solo. Il presidente francese Macron avrebbe potuto prendere le distanze da Biden e dalla sua impropria accusa di genocidio rivolta contro i russi con maggiore discrezione. Ha scelto invece di criticare apertamente il presidente americano rimproverando l'uso di quel termine. Nella giostra intrecciata di segnali che della diplomazia è l'anima è un avvertimento chiaro: la Francia continuerà a fare la sua parte ma senza oltrepassare alcuni confini. Draghi è certamente d'accordo con Macron come lo è con Scholz anche in questo caso l'Italia preferisce rimanere al coperto, lasciando che a far da diga alle pressioni dell'Ucraina, degli Usa e dei paesi Ue dell'est siano Germania e Francia.

Massima prudenza, certamente conseguente ai sospetti che ancora gravano sull'Italia per i rapporti considerati “troppo stretti” con la Russia fino alla guerra, è però un vero passo indietro sulla strada che l'Italia di Draghi stava percorrendo. L'obiettivo, che sembrava fino alla guerra quasi a un passo, era fare dell'Italia uno dei Paesi guida dell'Unione, magari non in condizione di piena parità con l'asse franco- tedesco ma neppure troppo lontano dai due Paesi guida. L'afasia della crisi più drammatica nella storia dell'Unione, anche più dello stesso Covid, sbalza l'Italia a distanza molto maggiore da quel traguardo.

La battaglia per l'energia è un ulteriore scoglio. Rimpiazzare i rifornimenti russi è lungo e difficile ma sostituirli, anche subito e parzialmente, affidandosi a Paesi “liberi e democratici”, come la campagna anti Russia imporrebbe, è impossibile. L'accordo sul gas egiziano, cioè con il Paese in cui la caccia agli assassini di Stato di Giulio Regeni è una missione impossibile, è tanto imbarazzante da spingere persino il fedelissimo Letta ad avanzare distinguo e la situazione con l'aumento dei rifornimento dall'Algeria non è molto più rosea.

Per l'Italia, insomma, uscire bene dal ginepraio di questa guerra sarà difficile non solo sul piano economico e sociale ma anche su quello del ruolo internazionale ed euopeo del Paese.