Non si tratta solo di modifiche alla legge elettorale, ma di revisioni nell’architettura istituzionale

È molto difficile pensare che una cesura di portata storica e forse epocale come la crisi mondiale dovuta alla guerra ucraina non incida a fondo sui sistemi politici dei Paesi a vario titolo coinvolti. Ma è del tutto irrealistico credere che ciò non si verifichi inevitabilmente in un Paese come l'Italia, nel quale il sistema politico complessivo era già in macerie. Qui non si tratterà dunque di una spallata come quella che, dopo il crollo del muro di Berlino, portò alla dissoluzione della prima Repubblica ma di un influsso che inciderà sulle caratteristiche del sistema politico complessivo che verrà costruito, sempre che la politica ci riesca e non è affatto certo, sulle macerie di quello franato nel corso di questa convulsa e terminale legislatura.

Non si tratta solo di leggi elettorali ed equilibri istituzionali, anche se una legge elettorale, dopo quasi vent'anni di vacanza, l'Italia dovrà riuscire a darsela e anche se un Paese il cui equilibrio istituzionale vacilla da tempi ben più lunghi, almeno dal referendum del 1993, dovrà decidersi a rivedere la propria architettura istituzionale. Ma la logica intima di un sistema viene prima ed è proprio la sua assenza attuale a spiegare le dimensioni della crisi in atto già da oltre 10 anni pur se esplosa in pieno negli ultimi cinque. L'“arco costituzionale” era la pietra angolare nel sistema della prima Repubblica: il riconoscimento reciproco di legittimità tra forze diverse e conflittuali cementate dalla comune ispirazione antifascista e costituzionale. Il bipolarismo, pur se monco e spesso malcerto, è stato il fondamento della seconda Repubblica.

Almeno due leader, che però guidano i partiti maggiori stando al verdetto unanime dei sondaggi, si stanno alacremente adoperando per fare dell'atlantismo radicale il criterio di legittimazione in base al quale delineare gli assetti di fatto del sistema italiano.

Il rapido crollo di consensi della Lega e dei 5S indicava già prima della guerra la crisi delle due forze politiche che avevano fatto della critica anti sistema, sia pur declinata in salsa populista, la loro ragion d'essere. Giorgia Meloni non ne è l'erede. La sua destra, fatte salve alcune pulsioni “sociali” ereditate dal vecchio Msi ed essenzialmente di repertorio, è del tutto priva delle pulsioni che permettevano alla Lega di fare il pieno di voti, al Nord, anche tra gli operai della Fiom o ai 5S di proporsi su molti fronti come eredi dei movimenti sociali pacifisti, ecologisti e no global. Quella di Giorgia Meloni è una tradizionale destra “law and order”, autoritaria ma come autoritarie sono molte destre occidentali e nulla di più. La guerra e uno schieramento atlantista senza margini di ambiguità le hanno permesso, o forse spera che le permettano, di consegnare al passato, all'epoca storica terminata il 24 febbraio scorso, le ombre populiste e neofasciste del passato in nome appunto della fedeltà attuale a quella che sarà nei prossimi decenni la bandiera destinata a sventolare più in alto di tutte: quella dell'atlantismo in un quadro mondiale molto vicino a una nuova guerra fredda.

Enrico Letta ha risolto l'eterno dilemma del Pd senza le smargiassate renziane, senza clamore e arroganza. Ma con la dovuta discrezione ha depurato il partito da ogni civetteria con il passato da sinistra socialdemocratica, ancora fortemente presenti con Zingaretti. Ha fatto del Pd un partito compiutamente centrista, lontano da ogni tentazione di rappresentanza delle fasce sociali povere, concentrato sui diritti civili come elemento non principale ma unico della propria identità “di sinistra”. La guerra ha offerto anche a lui l'occasione per seppellire i residui di quel passato in nome di un atlantismo persino più radicale di quello del governo.

Se si tiene conto che la stessa ispirazione anima la galassia centrista, che potrebbe diventare significativa e forse decisiva se riuscisse in futuro a coagularsi e unificarsi, si intravedono i tratti di una sorta di nuovo “arco costituzionale”, cementato stavolta dall'atlantismo e in grado, grazie alla comune fede atlantista, di permettere a tutte le sue componenti politiche, di riconoscersi reciprocamente. Superando così quella condizione di delegittimazione reciproca permanente che è stato il limite principale della seconda Repubblica.

Non è una battaglia già vinta per Letta e Meloni, il cui reciproco feeling è comunque visibile e quasi conclamato. Prima di tutto perché non si sa come finirà la guerra e quindi quale quadro mondiale partorirà questa crisi mondiale, poi perché l'operazione di abbattimento o normalizzazione drastica di forze come i 5S e la Lega non è scontata negli esiti. Ma è in quella direzione che veleggiano i principali leader italiani ed è in quella direzione che porta il vento.