Abrogato a partire dal 2024, cancellato, di fatto, fin da subito. Il reddito di cittadinanza ritoccato dalla legge di Bilancio non somiglia più neanche lontanamente alla riforma varata dal governo giallo-verde nel gennaio del 2019. Giorgia Meloni ha mantenuto la promessa formulata in campagna elettorale, svuotando di significato il provvedimento simbolo del grillismo. Il “colpo di grazia” è arrivato nella notte tra martedì e mercoledì, quando in commissione Bilancio viene approvato un emendamento, presentato da Maurizio Lupi, di “Noi moderati”, che sopprime la parola «congrua», associata ad offerta di lavoro, dal testo vigente.

In altre parole, il percettore di reddito di cittadinanza - che a partire dal 2023 non potrà comunque incassare più di sette mensilità, ancor meno delle otto previste nella prima bozza - sarà obbligato ad accettare qualsiasi proposta di lavoro (indipendentemente dalle proprie competenze, dalla distanza da casa e dalla retribuzione) pena la perdita del diritto all’assegno. Era l’ultimo mattone rimasto ancora in piedi della riforma costruita da Giuseppe Conte che adesso viene meno. E con esso cade la ratio del sussidio stesso, concepito non solo per tamponare gli effetti della disoccupazione ma anche per liberare le persone dal lavoro sottoqualificato (rispetto al proprio percorso) e sottopagato.

Fino a due giorni fa, infatti, veniva considerata «congrua» un’offerta coerente con «le esperienze e competenze maturate» e non più distante di 80 chilometri «dalla residenza del beneficiario o comunque raggiungibile in cento minuti con i mezzi di trasporto pubblici». Senza considerare il livello minimo di retribuzione, già definito dall’articolo 25 del decreto legislativo 150 del 2015 e mutuato dalla norma sul Reddito di cittadinanza.

Per essere congrua, infatti, l’offerta, prescrive la legge, deve essere «superiore di almeno il 10 per cento rispetto al beneficio mensile massimo fruibile da un solo individuo». In futuro non sarà più così, un cittadino potrebbe essere costretto ad accettare un lavoro meno conveniente del sussidio.

«Siamo alla follia pura, hanno fatto saltare il concetto di congruità, che è un concetto fondamentale per tutelare la dignità del lavoro e degli studi», dice senza mezzi termini il leader M5S Giuseppe Conte. «Guardate che non riguarda il reddito di cittadinanza: dire che le persone che sono più indigenti devono accettare qualsiasi proposta di lavoro in qualsiasi parte d'Italia significa distruggere l'ascensore sociale, riguarda tutti», aggiunge l’ex premier pentastellato. Che poi argomenta: «Riguarda un ingegnere che ha lavorato per anni e deve andare a fare il lavapiatti da tutt'altra parte dell'Italia. Riguarda chi ha studiato giurisprudenza e deve accettare un lavoro sotto pagato in qualunque parte del Paese».

Ma per Maurizio Lupi, autore dell’emendamento incriminato, «la vera follia» non è «aver eliminato la parola “congrua”, che vuol dire tutto e niente, ma negare il diritto al lavoro, scommettere sulla povertà delle persone e fomentare irresponsabilmente le piazze con dichiarazioni incendiarie» . Ma quella del leader di “Noi moderati” non l’unica spallata definitiva al Rdc.

La commissione Bilancio ha infatti accolto anche l’emendamento del leghista Rossano Sanno che subordina l’erogazione dell’assegno al completamento del ciclo scolastico obbligatorio. Chi non è in regola dovrà tornare tra i banchi o perderà il sussidio. È la vittoria del ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, che già un mese fa aveva definito «inaccettabile moralmente» fornire il sussidio ai disertori dell’obbligo. E non a caso ora il ministro esulta: «È stato mantenuto l’impegno preso con i cittadini», dice. «Questa proposta è ispirata ad alcuni principi che ritengo imprescindibili per la formazione dei nostri giovani». E pazienza se l’abbandono scolastico precoce è spesso sintomo di disagio sociale ed economico: senza attestato niente reddito.

Pezzo dopo pezzo, dunque, della riforma del 2019 non resta praticamente nulla, solo un titolo e un guscio vuoto formalmente in vigore fino al 31 dicembre 2023. Ma nei fatti il primo gennaio del 2024 (data in cui il reddito verrà ufficialmente abrogato) è già arrivato.