Le due Commissioni spettano alla minoranza ma servono anche i voti della maggioranza

La scelta dei presidenti delle Commissioni parlamentari di controllo, su tutte il Copasir che dovrebbe controllare l'intelligence e la Vigilanza Rai, è sempre un passaggio delicato. Perché si tratta di due postazioni di grande potere, perché sono la le pochissime poltrone rilevanti che spettano di diritto all'opposizione e perché devono lo stesso essere concordate, in una certa misura, con la maggioranza senza i voti della quale, in tutto o in parte, l'elezione è impossibile. Stavolta però la situazione è più nevralgica del solito: perché i posti sono 2 e le opposizioni 3, anzi 4 contando il cartello Si- Verdi, e perché la maggioranza è traversata da divisioni interne persino superiori alla pur elevata media.

Si sa come sono andate sinora le cose: Pd e M5S si sono spartiti le presidenze tagliando fuori il Terzo Polo che l'ha presa peggio di come non si può. La decisione del Pd è significativa. Pas d'ennemis à gauche è il dogma che il Pd ha ereditato dal vecchio Pci: nessun nemico a sinistra. Ora però a quella parola d'ordine se ne accompagna un'altra, forse persino più tassativa: Pas d'ennemis à droite, nessun nemico a destra. Per quanto sgradita sia la loro presenza, e preoccupante dato che dovevano sparire e invece hanno superato il partitone nei sondaggi, i 5S sono considerati ancora, per il futuro, probabili alleati. I centristi sono per il Nazareno solo una spina nel fianco.

Mercoledì, sulla base di quell'accordo, avrebbe dovuto essere eletto presidente del Copasir Lorenzo Guerini. L'accordo sul nome con il leader dei 5S è stato in realtà sofferto. Conte, dopo aver affossato il primo candidato di Letta, Enrico Borghi, avrebbe di gran lunga preferito Francesco Boccia, che nel Pd è forse il più esplicito e determinato nel sostenere la necessità di tornare all'alleanza con il Movimento. Alla fine ha accettato Guerini, un po' perché la competenza in materia lo rende un candidato quasi naturale tra quelli targati Pd ma molto perché vedeva traballare il nome su cui punta per la Vigilanza, Riccardo Ricciardi, suo vice e uomo di completa fiducia dell' “avvocato del popolo”. Non che il Pd avesse niente da ridire su Ricciardi, in compenso però su quel nome di dubbi ce ne erano e ce ne sono a valanga nella maggioranza, che ha fatto sapere a Conte di preferire altre opzioni, per esempio Chiara Appendino, ma solo per vedersi chiudere la porta in faccia con un drastico: «Il candidato è lui e non si cambia».

Toni perentori a parte, è evidente che la scarsa simpatia della maggioranza per il candidato di Conte determina un margine di incertezza e lascia spazi di manovra a Calenda e soprattutto a Renzi, che non ha affatto riposto l'obiettivo di insediare alla Vigilanza Maria Elena Boschi. Conte ha provato a blindare Ricciardi con il semaforo verde per Guerini al Copasir ma non è bastato a farlo sentire sicuro, tanto che ha fatto slittare a martedì prossimo l'elezione di Guerini chiedendo che i due presidenti siano eletti contestualmente. In sintesi, l'avvocato teme la fregatura e per questo vuole che il suo candidato e quello del Pd arrivino a meta nello stesso momento e non si tratta affatto di un obiettivo facilmente raggiungibile non essendo ancora stati indicati dai partiti neppure i componenti della Vigilanza.

Le paure di Conte sono comprensibili. Il flirt fra Terzo Polo e FdI, siglato dal lungo incontro tra Meloni e Calenda, non è un fuoco di paglia. A 24 ore da quel vertice, nel quale i due leader hanno scoperto di essere d'accordo su alcuni punti che potrebbero consentire un voto comune su alcuni emendamenti alla legge di bilancio, i centristi hanno confermato il feeling astenendosi sulla mozione della maggioranza contraria al salario minimo, che è infatti passata col voto contrario di Pd, 5S e Si- Verdi con il Terzo Polo astenuto. Se si fosse trattato di un punto da sempre nel mirino di Renzi e Calenda, come per esempio l'assalto al rdc, non ci sarebbe nulla di strano. Essendo al contrario il salario minimo una proposta anche del Terzo Polo l'astensione è apparsa tanto sorprendente quanto significativa. D'altra parte però Fi, che teme di essere schiacciata dal dialogo tra il primo partito di maggioranza e l'opposizione centrista, non ha certo intenzione di fare regali di sorta a chi vede, giustamente, come una minaccia.

Martedì ( sempre che si riesca a convocare la Vigilanza) si assisterà dunque a un gioco che non si limiterà alla pur importante definizione dei presidenti delle commissioni di controllo ma aprirà prospettive di lungo periodo sui rapporti politici che segneranno e in parte orienteranno questa legislatura.