NON SOLO I 5S, ANCHE LA LEGA E, IN PARTE, IL PD TEMONOL’ESCALATION

Il presidente Usa potrebbe chiedere all’Italia nuovi aiuti militari a Kiev e il sì all’embargo sul gas russo tanto osteggiato dai tedeschi. Ma il governo è diviso

Sembrano lontani i tempi in cui Mario Draghi scaldava i motori per sostituire Angela Merkel alla guida di fatto dell'Europa, sulla base non del primato del suo Paese ma dell'autorevolezza universalmente riconosciuta. Oggi tra la cancelleria di Roma e quelle di Berlino e Parigi i rapporti sono tesi e l'ex presidente della Bce è bersaglio di critiche, secondo alcune voci anche particolarmente feroci, più che di riconoscimenti e lodi. Nel gruppo di testa della Ue, quello dei ' Paesi fondatori', l'Italia di Draghi è oggi l'anello debole, il più solerte nell'adeguarsi alla linea aggressiva di Washington e Londra contro i tentativi franco- tedeschi di frenare quell'impeto. La ' defezione' ha un peso enorme perché se è comunque un problema dover trattare con i falchi interni alla Ue, i paesi baltici e la Polonia, il problema si ingigantisce se sulla stessa linea si attesta un paese fondatore, il terzo per importanza nell'Unione. Difficile dire perché, dopo aver cercato di imboccare per primo la strada oggi battuta da Scholz e Macron, Draghi abbia poi sterzato tanto bruscamente. Può certo aver avuto un peso la durissima reazione iniziale degli Usa a quei toni da colomba. Può essere altrettanto incisiva la necessità italiana di garantirsi il gas liquido americano, e non è certo un caso se nella sua visita a Washington, il prossimo 10 maggio, Draghi sarà accompagnato dal presidente dell'Eni. Ma quali che siano i calcoli di palazzo Chigi, è un fatto che l'Italia oggi è il più allineato agli Usa tra i grandi Paesi europei.

Ci son pochi dubbi sul fatto che il 10 maggio Joe Biden esorti il premier italiano a proseguire sulla stessa strada e se possibile a premere ulteriormente sull'acceleratore. Sull'invio di armi pesanti all'Ucraina la Casa Bianca sembra aver sbaragliato le resistenze tedesche. Di fatto nessuno neppure più parla di un ruolo europeo nella costruzione di una possibile trattativa. Ma l'obiettivo principale di Washington, l'embargo sul gas russo, non è ancora stato raggiunto. Ufficialmente l'Italia si è già detta pronta, ma certo senza fremere e anzi dando la fondata impressione di nascondersi dietro il provvidenziale no tedesco. Si può scommettere che il presidente americano insisterà per una posizione più decisa dell'Italia in materia e forse non è un caso che a Roma quel passo forse fatale sia considerato possibile, pur se non ancora probabile, nel prossimo autunno.

Ma se le richieste di Biden sono nel complesso facilmente prevedibili la risposta di Draghi lo è molto di meno. Previdente, il sottosegretario forzista Mulè ha scritto il testo del decreto sulle armi per l'Ucraina in modo da farne una delega in bianco sino al prossimo 31 dicembre. Qualunque siano le armi che il governo decide di inviare all'Ucraina potrà farlo senza dover chiedere il via libera del Parlamento. Neppure Draghi, però, può permettersi di non tenere in alcun conto il parere della sua maggioranza. Passi Conte, che deve farsi spazio e dotare di un'identità il suo movimento in vista delle prossime elezioni. Ma se persino Letta, programmaticamente e progettualmente allineato, critica i toni infervorati dell'inglese Johnson e boccia, sia pure sommessamente, la strategia che mira ad andare ben oltre la difesa dell'Ucraina il discorso cambia. E persino un Salvini mai tanto silenzioso e discreto, quasi dimesso, come negli ultimi due mesi è uscito un po' allo scoperto chiedendo che l'Italia e l'Europa si si impegnino anche per un'iniziativa di pace.

Nella cittadella della politica un crescente disagio lo si avverte a pelle. Il governo non si confronta con l'aula dall'inizio di marzo scorso, nonostante il quadro sia da allora molto cambiato e nonostante l'impegno formale a tenere le camere puntualmente informate, in particolare proprio sulle armi inviate. Quando Draghi tornerà in Parlamento, troverà un clima molto meno mobilitato di quanto non fosse in marzo. La situazione, dal punto di vista della tenuta politica interna, è mobile e subordinata agli eventi sul teatro militare e su quello diplomatico. Su quello europeo, si vedrà al Consiglio europeo di fine maggio, che per l'Italia è di vitale importanza, quanto l'irritazione di Macron e Scholz rischi di tradursi in chiusura rispetto alle richieste italiane. Di certo Draghi, tanto esperto in materia di finanza quanto poco avvezzo alle tempeste diplomatiche, sta giocando oggi la partita forse più difficile della sua vita.