Che qualcosa non funzioni più nel rapporto tra Matteo Salvini e Giorgia Meloni è testimoniato dalle stesse parole rassicuranti del leader della Lega, che più volte si sente in dovere di ribadire, dal palco di Pontida, della sintonia regnante tra i partiti di maggioranza. Questo governo durerà «non solo 5 anni al primo mandato, ma anche 5 al secondo mandato».

Eppure quello andato in scena sul pratone “sacro” del popolo un tempo solo padano è l’avvio di una campagna elettorale per le Europee in cui il Carroccio punterà a strappare, voto per voto, il maggior numero di consensi possibile a Fratelli d’Italia. Per farlo, per dare sostanza alla sua convinzione («siamo destinati a vincere, nel nostro destino c’è la vittoria in Italia e in Europa») Salvini sa che deve rapidamente svestire i panni del ministro dal basso profilo e tornare a indossare quello del capitano. Più capitano di prima, se possibile, sfidando Meloni punto su punto sui temi storici della destra italiana. E la presenza di Marine Le Pen è solo una manifestazione della strategia che alla lunga potrebbe portare la Lega a finire ai margini della sua stessa maggioranza.
Il capo del Carroccio loda la presenza di «Giorgia a Lampedusa, sintesi di un destino comune» e aggiunge: «Non riusciranno a dividerci».

Ma a separare i percorsi potrebbe essere proprio la svolta lepenista di Salvini che durante il comizio attacca alla cieca l’Europa che vorrebbe tirarci su «a farina di cavallette», l’Islam che «dovrà essere guardato con estrema attenzione», le banche e addirittura George Soros che, nella migliore tradizione complottista destrorsa, «finanzia progetti per l’annullamento della nostra civiltà. E non può essere trattato come un imprenditore qualunque». Roba fortina per uno che tra le altre cose è anche vice di colei che pochi minuti prima aveva ricevuto Ursula von der Leyen a Lampedusa. Ma Salvini insiste, rivendicando il diritto a criticare un’Europa che vuole rivoltare come un calzino per dar vita a quell’Europa «dei popoli» sognata anche da Umberto Bossi nei primi anni 90.

«Vivono su Marte quelli che a Bruxelles puntano a reintrodurre il Patto di Stabilità tutto rigore e sacrificio. Abbiamo il dovere di cambiare questa Europa», insiste, in piena sintonia con «l’amica» Marine, che pochi istanti prima aveva annunciato la presentazione in Francia di una dichiarazione dei diritti dei popoli «per creare nuovi diritti per proteggere le libertà dell’uomo, la diversità delle civiltà e le ricchezze culturali del mondo. Non vogliamo più che ci impongano delle politiche che non abbiamo scelto».
A Pontida, in mezzo al fumo dei panini con la salsiccia, l’internazionale sovranista ha deciso di contrattaccare, di organizzarsi, per impedire possibili inciuci tra Conservatori e Popolari alla prossima legislatura europea. A costo di forzare la mano e mettere in imbarazzo alcuni governi nazionali come quello italiano. Tocca ai governatori, vere star sul pratone, rimettere al centro della discussione la ragione sociale per cui la Lega nacque. I Fontana e gli Zaia chiedono soprattutto autonomia e un partito capace di dettare la linea agli alleati. «Il leone (di San Marco, ndr) è sempre più incazzato», dice il presidente Zaia, che prima di intervenire fa srotolare una bandiera veneta grande quanto il palco con su scritto: «Il futuro del veneto è domani, autonomia subito».

È questo il punto su cui il partito del Nord non intende arretrare di un passo. «L’autonomia non è sovversiva, non è la secessione dei ricchi, è la richiesta allo Stato di gestire ciò che oggi gestisce per conto tuo. L’autonomia è un’assunzione di responsabilità, è la fine del parassitismo», aggiunge, accolto da un’ovazione.
Poi è il ministro per l’Autonomia Roberto Calderoli a provare a scaldare la folla, definendo Pontida «la giornata dell’orgoglio». E si capisce subito di che orgoglio parla: quello delle origini del partito con i piedi ben piantati nel Nord Italia. «Chi non ricorda il passato sarà senza futuro…e io non mi dimentico niente, nemmeno di quando ci siamo comprati questo prato», esordisce il ministro, osannato dalla folla. «Ringrazio Umberto Bossi per aver creato la Lega e Pontida. Ringrazio Maroni, col quale siamo cresciuti insieme dentro la Lega. Ringrazio Salvini che ha portato la Lega dove non era mai arrivata».

Calderoli assume subito i panni dell’eroe, alle prese con un’impresa titanica e solitaria: realizzare l’autonomia per cui il Carroccio è nato. «Vi sento tutti vicini. Sapevo che non era una passeggiata. Son passati 22 anni da quando è stata scritta in Costituzione l’autonomia differenziata, 7 legislature, 14 ministri. Sono soddisfatto di aver raggiunto un accordo in maggioranza sull’autonomia. Risolvere la questione settentrionale e quella meridionale è il mio obiettivo», dice. Lo spieghi a Pino Gelardi, capogruppo della Lega in Consiglio regionale in Calabria, presente sul pratone con la maglietta “Sì Ponte”, che ha scelto di sostenere il progetto autonomista per «disciplina di partito», ma si guarda bene dal parlarne con gli elettori. «Non capirebbero», dice.
Ma forse in pochi hanno davvero capito quale sia la vera Lega radunata a Pontida. Di certo, il cuore elettorale del Carroccio si aspetta dei risultati concreti da questo governo che poco hanno a che fare con la propaganda dei porti chiusi. E senza autonomia anche Salvini se ne renderà conto.