La ferita dell'Italicum sta lì e sanguina. Spunterà reiteratamente nel corso della prossima campagna elettorale referendaria e sarà l'elemento di maggior scontro dentro al Partito democratico (e verosimilmente anche fuori) perché la sutura della mozione di maggioranza approvata alla Camera mercoledì scorso è a maglie inesorabilmente troppo larghe.In ogni caso, e in attesa che la prossima settimana il Consiglio dei ministri fissi la data di svolgimento della consultazione popolare (27 novembre o 4 dicembre), non è l'unica, fantozziana, nuvola che staziona su palazzo Chigi. Ce ne sono altre. Una in particolare, nera e corposa: la legge di Stabilità, che bisogna varare entro poche settimane e che sarà all'esame del Parlamento proprio nei giorni in cui il contenzioso mediatico tra Sì e No raggiungerà il culmine. Non a caso, FI è partita subito all'attacco nel Comitato di presidenza presieduto da Berlusconi. I Cinquestelle, c'è da credere, seguiranno.Ricapitoliamo. Per vincere il referendum, Matteo Renzi punta a riproporre il meccanismo degli 80 euro che tanto bene ha funzionato alle Europee, stavolta indirizzato ai pensionati: non a tutti, ma a buona parte. Inoltre il premier non ha alcuna intenzione di interrompere la recita del mantra sulla riduzione delle tasse. Naturalmente c'è anche la necessità di far slittare le clausole di salguardia patteggiate con la Ue altrimenti scatta l'aumento dell'Iva, e un profluvio di incombenze simili.Il punto è che per ottenere margini così ampi servono fondi che al momento mancano all'appello. Non solo. La situazione già difficile di per sè, è resa ancor meno rosea dal cattivo andamento dell'economia globale, che si riflette in modo assai negativo sui traballanti conti pubblici. Per intenderci: gli indicatori mostrano in gran parte segno meno e la mazzata vera e propria è arrivata nei giorni scorsi dall'Istat: crescita zero nel secondo trimestre dell'anno in corso. Il che ha costretto presidente del Consiglio e ministro dell'Economia a rivedere al ribasso le stime per il 2016. Non è un giochino di numeri: significa che tutti i parametri sui quali sono impostati i conti pubblici vanno ridimensionati.Insomma ci sono meno soldi e non c'è speranza che ne arrivino altri di qui a fine anno. Dunque bisogna tagliare, spiega Padoan sul Corriere della Sera. Peccato che quel concetto a Renzi provochi lo stesso gradimento di una sconfitta della sua amata Fiorentina.Ci sarebbe l'Europa e la flessibilità finanziaria, che significa margini di spesa più ampi soprassedendo ai vincoli imposti dal patto di stabilità. Era un percorso difficile, ora minaccia di diventare impervio. La Germania, come è noto, ad ogni allentamento dei cordoni della borsa scarta come fanno i tori davanti ad un drappo rosso. Adesso poi ci si sono messi la Banca Centrale Europea («Occorre compiere ulteriori sforzi di risanamento, soprattutto nei Paesi con debito pubblico elevato») e soprattutto Junker. Pur elogiando l'Italia e indicandola ad esempio agli altri partner comunitari per gli sforzi fatti sull'immigrazione e chiamando in causa direttamente Renzi per il buon risultato del job act, il presidente della Commissione europea ha detto chiaro e tondo che Roma di flessibilità ne ha già avuta tanta: infatti quella concessa le ha consentito di poter "spendere" 19 miliardi. «Il patto si chiama di Stabilità e non di flessibilità», ha soffiato velenoso.Insomma i margini di manovra del capo del governo italiano si vanno restringendo sempre più. Trovare risorse senza tagli è complicato nonché politicamente oneroso (ieri il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, è stata glaciale: «Riduzioni di spesa? Impossibile nel mio settore»), ma senza usare le forbici le risorse per finanziare la riduzione fiscale e l'incremento delle pensioni (poi si vedrà quali) si trasformano in chimere.Più che una strettoia, l'autunno renziano assomiglia alle forche caudine. Bisognerà fare campagna elettorale in salita, con pochi soldi e combattendo un sentimento popolare che si gonfia di paure e insofferenza. E' in questa cornice che il premier si appresta a convocare per fine mese la Direzione del partito. All'ordine del giorno la riforma elettorale. Ma se le cose restano così, l'Italicum finirà per essere l'ultimo dei problemi piazzati lì sulla scrivania del premier.