«Auspico un governo politico che sia solido e abbia sufficiente coesione», perché le urgenze del Paese «non possono essere affidate a squadre di tecniche». Con queste parole, pronunciate fuori da Palazzo Chigi dietro a un tavolino di cristallo improvvisato, Giuseppe Conte offre una via d’uscita, potenzialmente decisiva, alla crisi di governo. Il premier uscente non solo non metterà i bastoni tra le ruote a Mario Draghi, ma potrebbe addirittura far parte della partita, con un ruolo di governo. «I sabotatori cerchiamoli da un’altra parte», aggiunge, togliendosi qualche sassolino dalla scarpa con l’indole rottamatrice di Matteo Renzi. L’avvocato spariglia, fa il gesto invocato dal Colle, dagli alleati e da una parte del Movimento 5 Stelle per lasciare a bocca aperta proprio Italia viva, che sulla fine della carriera politica di Conte aveva puntato più di una fiche. Ed è uno spellarsi di mani per applaudire al guizzo di generosità dell’ormai ex presidente del Consiglio. Applaude Dario Franceschini, si congratula Nicola Zingaretti, esulta Luigi Di Maio, gradisce Sergio Mattarella. Ora per l’ex capo della Bce la strada si mette in discesa, la svolta di Conte renderà digeribile alla più grande forza parlamentare persino la fiducia a un “banchiere”, allo stereotipo del nemico descritto in dodici anni di letteratura grillina. Ma a sbloccare la situazione pare sia stato Beppe Grillo in persona, attaccato al telefono con Palazzo Chigi per 48 ore e impegnato a contattare un big pentastellato alla volta per con convincerli ad abbandonare la linea irriducibile. E non è un caso che Conte, nel suo endorsement al premier incaricato, abbia scelto di rivolgere un appello diretto proprio al partito che lo ha sostenuto. «Mi rivolgo agli amici dei 5 Stelle: io ci sono e ci sarò», scandisce l’avvocato, facendo sgranare gli occhi a più di un parlamentare. Perché se è stato Beppe a convincere Giuseppe, è il ragionamento di più di un eletto, quelle parole suonano come un’opa al Movimento 5 Stelle. Quell’«io ci sarò» perentorio potrebbe essere infatti il frutto di garanzie politiche offerte dal garante in cambio della non belligeranza con Draghi: la guida del partito per poter rimanere in prima fila da qui alle elezioni del 2023. Due anni di attesa in panchina equivarrebbero infatti alla morte politica certa, ma due anni da leader partitico offrirebbero a Conte la possibilità di presentarsi al prossimo appuntamento elettorale come il candidato premier di un’intera coalizione, “ripulita” da Italia viva. Il secondo messaggio del suo discorso il presidente del Consiglio lo recapita infatti agli alleati. «Dico agli amici del Pd e di Leu: noi dobbiamo continuare a lavorare tutti insieme perché il nostro progetto politico, che ho sintetizzato come alleanza per lo sviluppo sostenibile, continui». Tradotto: Renzi sarà pur riuscito a buttar giù un premier, ma non a demolire il nuovo centrosinistra. «È un progetto forte, concreto, che aveva già iniziato a dare buoni frutti. Dobbiamo continuare a perseguirlo perché offre una prospettiva reale di modernizzazione del nostro Paese nel segno della transizione energetica, digitale e dell’inclusione sociale», spiega Conte. Ma per paradosso a intralciare il cammino dell’alleanza (e del governo) potrebbero essere proprio i contiani del M5S troppo arrabbiati con Iv per aver disarcionato il loro leader per raccogliere segni di pace. È l’incognita stravagante di un partito sull’orlo di una crisi di nervi.