L'incognita, nel campo largo o meno che sia del centrosinistra, si chiama Giuseppe Conte. Elly Schlein non è la prima a scoprire quanto difficili siano i rapporti con il leader oggi incontrastato del M5S. Ci erano passati in parecchi, nella scorsa legislatura ma questa è una magra consolazione per la segretaria del Pd. Il problema, con l' “avvocato del popolo” è sempre lo stesso: la sua eterna indecisione, l'abitudine a rinviare le scelte difficili e, allo stesso tempo, una tendenza all'accentramento che rende impossibile trattare e provare a gettare fondamenta con nessun altro esponente del Movimento.

L'ex premier aveva impostato una strategia dimostratasi vincente alle ultime elezioni: occupare lo spazio lasciato vacante a sinistra del Pd ingaggiando uno scontro frontale con il partito del quale era stato alleato ai tempi del suo secondo governo. Scelta coraggiosa ma in realtà impostagli dagli eventi, dalla pressione dei suoi e soprattutto dalla miopia di Draghi e Letta che avevano provato a liberarsi di un alleato scomodo soprattutto sul fronte della guerra in Ucraina, arrivando al punto estremo di sostenere la scissione del suo partito. Conte temeva la rottura, aveva fatto il possibile per evitarla nonostante il consiglio dei suoi fedelissimi, si era risolto a un passo che altrimenti non avrebbe mai osato fare solo perché messo con le spalle al muro dagli alleati e dai loro calcoli errati.

La vittoria a sorpresa di Elly Schlein lo ha però completamente spiazzato, vanificando il progetto di un'alleanza competitiva con il Pd di Bonaccini nella quale il suo M5S avrebbe rappresentato l'ala sinistra. Da quel momento, come sempre nei momenti di difficoltà, Conte ha perso la bussola, senza trovare una nuova impostazione strategica e per la verità, secondo i mormorii furibondi interni al Movimento, senza neppure cercarla. Parlargli è diventato difficile per tutti, nei momenti difficili l'erede di Beppe Grillo tende a eclissarsi. Capire cosa abbia in mente e mettere a punto una nuova strategia è una chimera.

Alle Comunali della settimana scorsa Conte ha evitato l'alleanza con il Pd nella stragrande maggioranza delle piazze e dove la ha stretta ha fatto comunque il possibile per marcare la differenza. Alla richiesta di apparentamento per i ballottaggi di Schlein non ha risposto e anche qualora ci si arrivasse sarebbe una scelta adottata con inesistente entusiasmo. Da un lato Conte ambisce al ruolo di più rigido e irriducibile tra i nemici della premier, missione non facilissima perché quella parte vuol farla anche la leader del Pd. Dall'altra si smarca, tratta sulla Rai, autorizza i sospetti, forse infondati ma certo non incomprensibili, di prepararsi a giocare un ruolo ambiguo anche sulle riforme istituzionali. Nel Pd e in Avs molti temono una sorta di appoggio mascherato alla marcia del governo sulla Costituzione.

È probabile che, come quasi sempre, Conte si affidi al consiglio del vero Think Tank del Movimento, cioè il quotidiano di Marco Travaglio, o comunque di quanti ritengono che la sola via per il Movimento sia “marciare divisi per colpire uniti”, insomma mantenere una linea aggressiva e competitiva nei confronti del Pd in vista però di un'alleanza che comunque alla elezioni politiche sarà inevitabile.

È una strategia meno astuta di quanto non sembri a molti e probabilmente allo stesso Conte. Le elezioni comunali dimostrano, anche se non ce ne sarebbe stato bisogno, che l'alleanza è necessaria ma non automaticamente redditizia. L'idea che basti mettere in campo un'alleanza, magari stretta all'ultimo momento, in nome della necessità di contrastare la destra è a dir poco discutibile e si basa sulla fantasia infondata di avere di fronte appunto un'alleanza elettorale cementata solo dalla conquista del potere.

Le cose però non stanno così. La destra con tutte le sue divisioni e le sue conflittualità legate non solo alle ambizioni personali ma anche in parte alla vera politica, ha comunque una visione di fondo della società per moltissimi versi comune. In nome della quale ha potuto resistere anche alla più macroscopica delle divisioni, quella che vedeva due partiti della stessa alleanza al governo e il terzo all'opposizione. Nel polo di destra, inoltre, le divisioni sono avvertite più al vertice che alla base, mentre in quello, ancora ipotetico, di sinistra è vero il contrario: qui convincere gli elettori ad accettare alleanze con partiti già detestati è compito infinitamente più delicato.

Anche il luogo comune per cui alle alleanze, o meglio alla costruzione di un polo dotato di una visione e di un progetto comuni, non si può pensare prima delle Europee, che essendo elezioni col proporzionale incentivano le divisioni, è superficiale o peggio. Ci sono in vista cinque elezioni regionali più quelle della Provincia autonoma di Trento ed è un test che peserà quanto e più delle elezioni europee.

Il nuovo vertice del Pd, dopo essersi cullato subito dopo la vittoria di Elly Schlein nell'illusione di avere tempo, sembra ora aver compreso la situazione. «Non ci possiamo permetterci di restare in stand- by», afferma il responsabile dell'Organizzazione Igor Taruffi. Di mezzo però c'è l'ostacolo di sempre: l'indecisione di Giuseppe Conte.