Giuseppe Conte incontra Giorgia Meloni e ribadisce l’assoluta contrarietà del suo Movimento a qualsiasi svolta presidenziale. Il motivo? Semplice: i grillini non disprezzano soluzioni «sensate che garantiscano la stabilità», si dicono pure favorevoli a «un rafforzamento dei poteri del premier», ma «in un quadro che si conservi complessivamente equilibrato», che «non mortifichi il modello parlamentare» e soprattutto che non umili «la funzione del presidente della Repubblica, che nel nostro ordinamento ha una posizione di garanzia».

Parole condivisibili, se sincere. Molto simili a quelle pronunciate da molti esponenti del Pd. Peccato che, a differenza degli ogni tanto alleati dem, i pentastellati predichino pluralismo all’esterno e pratichino cameratismo all’interno. Sì, perché il M5S di Giuseppe Conte, a ben guardare, è una creatura tutt’altro che bilanciata, costruita a immagine e somiglianza del leader unico, il presidente, senza più nemmeno l’ombra di un contraddittorio.

Da quando l’avvocato si è infatti liberato dell’opposizione interna (gli scissionisti dimaiani) e da quando la tagliola del doppio mandato ha lasciato ai margini della politica i volti più popolari del Movimento - i vari Fico, Taverna, Bonafede e gli altri «gerarchi minori» - a fare da controcanto al leader non è rimasto più nessuno. Impossibile trovare pure un semisconosciuto parlamentare di Canicattì disposto a muovere una seppur timida critica off the record al capo supremo, giusto per lamentarsi di qualcosa. Altro che presidenzialismo, il M5S è governato da una monarchia come mai in precedenza.

I “tiranni” Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, costretti a espellere qualche eretico con un post sul Blog, a confronto dell’avvocato di Volturara Appula sembrano due principianti. Loro, i fondatori, avevano bisogno di intervenire col pugno di ferro per ristabilire l’ordine, al capo “progressista” invece non serve: il dissenso semplicemente non esiste. Non è un caso che l’unico accenno di divergenza emerso in questi mesi sia ascrivibile a un senatore non iscritto al partito come Roberto Scarpinato. L’ex magistrato ha fatto strabuzzare gli occhi ai Conte boys per aver preso le distanze dal plauso del leader 5S alla premier Meloni per le parole scritte in occasione del 25 aprile: un atto di infedeltà inammissibile a queste latitudini.

Comunicazione totalmente centralizzata (come ci racconta chi lavora in quel mondo) e controllo assoluto sulle liste sono lo strumento principe del comando. Una struttura così ben organizzata da far apparire persino l’ex vice ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, come un sincero cultore della democrazia diretta: sotto il suo “regno”, almeno, la pataccara supremazia della “base” rimaneva la stella polare dell’agire politico grillino, strumento di legittimazione delle leadership e potenziale arma per rovesciarle se sgradite all’Elevato.

Nel giro di due anni Conte è stato invece capace di silurare Davide Casaleggio (il padrone di Rousseau), di rispedire Grillo al suo ruolo di comico, di liberarsi di tutti i nemici interni e di trasformare i militanti in componenti d’arredo. Passo dopo passo, l’ex premier si è guadagnato la libertà di firmare i decreti sicurezza e di flirtare un minuto dopo con gli ex dalemiani per accreditarsi nell’universo “progressista” (mai dichiaratamente di sinistra) senza nemmeno arrossire un po’. E adesso attende di capire dove andrà il Pd di Elly Schlein per decidere se rimanere sulla sponda sinistra o ricollocarsi altrove per l’ennesima volta. Tanto nessuno contesterà la linea dell’uomo solo al comando, il condottiero capace di portare a casa un insperato 15 per cento alle ultime Politiche con rispettive poltrone confermate o improvvisamente sopraggiunte.

Così, l’unica potenziale antagonista rimasta, raccontano dall’universo pentastellato, viene tenuta lontano da qualsiasi riflettore mentre attende sulla riva del fiume di veder passare qualcosa da poter affondare. Virginia Raggi viene infatti descritta come l’unica anticontiana del reame, pronta a lanciare ufficialmente il guanto di sfida al leader massimo tra un anno, dopo le Europee, scommettendo su un tracollo elettorale del Movimento. Ma i progetti dell’ex sindaca di Roma allergica a ogni rapporto col Pd potrebbero rivelarsi effimeri da qui alla primavera del 2024: in un anno Conte potrebbe cambiare più volte posizionamento.

Per il momento, però, il “re” del M5S resta sulla barricata dell’antipresidenzialismo, anche se «disponibile, per quanto riguarda il metodo, ad un dialogo in una Commissione parlamentare costituita ad hoc, che possa dedicarsi con continuità e costanza a questa prospettiva». Oggi è no, domani chi sa.