Non fare la fine di Prodi. È questa la priorità di Giuseppe Conte, schiacciato tra le bordate di Matteo Renzi e il rischio, mai scongiurato, del fuoco amico finale. Perché quel ruolo di arbitro imparziale, di avvocato, che fino oggi ha permesso al premier di stare a galla, moderando le ambizioni di ogni singolo leader, adesso rischia di trasformarsi nella sua più grande debolezza. Un presidente del Consiglio senza partito, alla lunga, paga dazio. E Conte non fa eccezione, arrivato a Palazzo Chigi per caso, perché serviva un volto pacato, apparentemente remissivo, che tenesse insieme Di Maio e Salvini prima, M5S, Italia viva e Pd, poi. Lui, professore di Diritto privato “scoperto” da Alfonso Bonafede, si sarebbe accontentato di fare il ministro della Pubblica amministrazione, come immaginato dall'allora capo politico 5S prima delle elezioni del 2018. Un tecnico prestato al grillismo, senza tessere di partito in tasca. L’indipendenza - rivendicata in realtà dal Papeete in poi - è un’arma a doppio taglio, soprattutto quando le cose si mettono male. E ora che Renzi prova ad aprire a spallate il portone di Palazzo Chigi per sfrattarne l’inquilino, l’equidistanza contiana mostra i suoi limiti. Crescono quotidianamente, infatti, i parlamentari grillini terrorizzati all’idea che le manovre renziane possano sfociare in una crisi di governo senza al buio, il cui unico sbocco sarebbe lo scioglimento delle Camere e la conseguente rinuncia al seggio. Scaricare Conte, dunque, il premier amico ma esterno al partito, potrebbe essere l’unica ancora di salvezza per i pentastellati logorati dalla paura.

E se fino a poche settimane fa deputati e senatori M5S si limitavano a suggerire a mezza bocca la “soluzione finale” - l’abbandono della trincea contiana - ora escono allo scoperto e lo urlano alla luce del sole. La prima a farlo, proprio sul Dubbio, è stata, due giorni fa, l’onorevole Federica Dieni, convinta che per evitare di tornare al voto si potrebbe cominciare a pensare o si potrebbe pensare «di fornire a Italia viva un altro nome del Movimento 5 Stelle come premier». Ieri è toccato invece alla senatrice Bianca Laura Granato sfatare il tabù: «È sbagliato sostenere incondizionatamente una figura. Conte va sostenuto se alle spalle c’è un’agenda condivisa».

La diga grillina comincia a crollare proprio mentre il premier prova a disperatamente puntellare la sua maggioranza sul lato renziano. L’imparzialità non basta più, anzi, per un Movimento allo sbando e con prospettive elettorali poco rosee è quasi una minaccia. «Per tenere buono Renzi ci farà ingoiare anche il Mes», ripetono a più voci i cinquestelle, puntando il dito proprio sull’estraneità di Conte al partito.

E allora all’avvocato non potrebbe che essere rimasta una sola mossa per uscire dall’angolo: svestire i panni del leader neutrale e indossare la casacca partigiana del grillismo. Prendersi il Movimento 5 Stelle per mettere a tacere il dissenso potrebbe essere l’unica arma in mano a Conte per scongiurare l’ammutinamento collettivo. Un’idea scartata quasi con sprezzo fino a poco tempo, quando il presidente del Consiglio viaggiava ancora a vele spiegate sul mare del consenso pandemico, tanto da immaginare la creazione di un partito personale. Ma le condizioni in politica mutano rapidamente e il capo del governo adesso ha bisogno di una forza parlamentare molto numerosa a coprirgli le spalle. E chi, se non il M5S, il partito che lo ha reso celebre, potrebbe avere le caratteristiche adeguate? Le contingenze, in tal senso, remano dalla parte di Conte: i grillini, da mesi in congresso permanente, sono da tempo senza una guida politica legittimata. Persino Vito Crimi, reggente bersagliato dagli eterni scontenti, è “scaduto” formalmente il 31 dicembre.

Il Movimento, nato sotto il giogo di due padri padroni, ora arranca nell’anarchia più assoluta, logorato da una guerra tra correntine. Per l’avvocato del popolo sarebbe un gioco da ragazzi impadronirsi di quell’esercito allo sbando e riorganizzarlo a difesa del fortino di Palazzo Chigi. Certo, non sarebbe più il premier di “garanzia” conosciuto fino a oggi, ma Conte non siede mica al quirinale. Il capo del governo è portatore di interessi di parte, di una parte, di un partito. Sempre che non voglia fare la fine di Prodi.