Furibondo, livoroso e final: Renzi e Calenda marciano verso la separazione totale, con la divisione dei gruppi parlamentari, in un clima da rissa all'osteria combattuta a suon di tweet e battutacce. Richetti, paragonato dal leader di Iv a Bonifazi nell'alato dibattito sulla cena al Twiga, l'interessato replica dicendo che è come mettere sullo stesso piano Renzi e il Trump indagato. Il senso dei pizzini che volano come stracci sfugge ai più, in compenso è a tutti evidente che di questo si tratta. Scalfarotto, Iv, s'intromette: “Forse è il momento di prendere atto che non si può andare avanti così”. Ci aveva già pensato Giachetti, pasdaran di professione, dando fuoco alla miccia: “Ha ancora senso stare insieme”. Tra ginocchiate nelle parti basse e manifestazioni di comprensibile esasperazione si potrebbe continuare. Non a caso Calenda si prepara al sospirone di sollievo, “Se dio vuole ora i gruppi si divideranno” anticipa in privato e in pubblico, col solito cinguettio, si assicura che la profezia sia esatta: “Non vi è dubbio che dalla commissione Covid, al salario minimo, all'elezione diretta del premier stanno emergendo differenze rilevanti.

La separazione si consumerà a breve: una data per la riunione dei gruppi che dovrebbe sancire l'incompatibilità ancora non c'è ma è questione di giorni, non di settimane. Alla Camera i divorziati troveranno alloggio senza sforzo: entrambi hanno i numeri per formare il gruppo. Al Senato le cose stanno diversamente: Italia viva dispone dei sei voti necessari, Azione no a meno che non vada a buon fine qualche corteggiamento e la senatrice più assediata è Dafne Musolino, attualmente targata “Sud chiama Nord” (sic). La faccenda è seria: ne vanno di mezzo finanziamenti e mezzi che, a maggior ragione col nuovo regolamento varato nella scorsa legislatura, sono immensamente diversi a seconda che si disponga di un gruppo o si finisca al Misto, al momento destino di Calenda.

Nei divorzi lo scambio di accuse è inevitabile e la strana coppia terzopolista non fa eccezione: il reciproco addebito di responsabilità è già in corso da un pezzo e proseguirà sino al passo fatale e oltre. All'origine c'è senza dubbio un problema di personalità incompatibili, come un po' tutti avevano segnalato sin dal matrimonio d'interesse. Ma col tempo la divaricazione è diventata anche politica e strategica: Calenda veleggia verso sinistra e da questo punto di vista è significativo che abbia inserito tra le “differenze rilevanti” anche l'elezione del premier. In realtà era nel programma di Azione e lo stesso Calenda la aveva pubblicamente sostenuta. Oggi però sarebbe un macigno insuperabile nel dialogo con la sinistra di Schlein e Conte. La sterzata a destra di Renzi a destra è anche più decisa, ma la strada è per l'ex premier più accidentata: una cosa è ritrovarsi a braccetto con un Pd col quale si è già governato e del quale Calenda ha avuto in tasca la tessera, anche se con l'eternamente bersagliato Conte le cose stanno diveramente, tutt'altra abbracciare la destra di Giorgia Meloni. Il sogno dei divorziandi è in realtà identico: il miraggio di Azione è sostituire i populisti del M5S. Il sogno proibito di Renzi rimpiazzare i populisti della Lega. In entrambi i casi con una formazione esterna sia al centrodestra che al centrosinistra.

E' un obiettivo irrealizzabile per l'uno come per l'altro, anche se senza dubbio in questo tipo di manovre Renzi si muove con ben altra abilità rispetto a Calenda. Ma la parola fine che i due scriveranno a quattro mani nei prossimi giorni è allo stesso tempo conseguenza del non essere riusciti a incrinare il nuovo bipolarsimo nascente e condizione che rende quel traguardo del tutto irragiungibile.

Per entrambi gli spezzoni del Terzo Polo il problema però è che, nelle condizioni date, non sembrano in grado di superare la soglia di sbarramento nelle prossime europee. Italia viva spera in un segnale dal prossimo congresso di Fi, ma se anche quel segnale arrivasse l'impatto sarebbe devastante perché buona parte della stessa Iv. Certamente contrarissimo è proprio Bonifazi ma anche Boschi e Rosato non nascondono un baule di dubbi. Sul fronte opposto sono le ex ministre forziste Gelmini e Carfagna a rabbrividire all'idea di trovarsi schiacciate sul Pd e magari persino sui 5S. Insomma, il Terzo Polo è morto ma anche gli spezzoni che ne facevano parte non stanno tanto bene.