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Di Maio Giuseppe Conte
E adesso, silenzio. Dopo l’ultima minaccia di espulsione a Luigi Di Maio consegnata dalle colonne del Fatto quotidiano, Giuseppe Conte impone alle sue truppe il basso profilo. Non una dichiarazione pubblica, non un comunicato stampa che alimenti la polemica interna al Movimento 5 Stelle. L’obiettivo è chiaro: il presidente grillino vuole lasciare solo il ministro degli Esteri a recitare la parte del guerrafondaio, convinto che l’immagine pubblica di Di Maio sia già abbastanza squalificata da non richiedere ulteriori “interventi”. Del resto, dal quartier generale contiano ribadiscono che l’attacco social all’ex capo politico non è frutto di un’operazione pilotata, ma un moto spontaneo di ribellione contro il «Renzi del M5S». E seguendo la stessa logica, l’avvocato vorrebbe evitare di arrivare a decisioni estreme - seppur paventate - come l’espulsione. Perderebbe il vantaggio d’immagine accumulato in queste ore, è il ragionamento, facendo la figura dello stalinista e trasformando l’inquilino della Farnesina in vittima. Nessun regolamento dei conti, dunque, all’assemblea che dovrebbe essere convocata per la prossima settimana, solo qualche scaramuccia. I due saranno costretti a convivere ancora per un bel po’ di tempo. La vendetta, riferiscono le stesse fonti, è un piatto da servire freddo, tra un annetto scarso magari, quando toccherà al leader del partito concedere le deroghe per il terzo mandato. E quella di Di Maio salterà quasi certamente. E forse proprio per questo, spiegano alcuni parlamentari, il ministro degli Esteri ha deciso di alzare così tanto il livello della contesa, con uno stile troppo lontano dal passo felpato tipico dell’ex capo politico. «Mi sa che Luigi ha avuto la certezza di non essere ricandidato, altrimenti sarebbe inspiegabile», prova a trovare una logica politica un deputato. Così, mentre Conte attende al varco il suo “rivale” evitando gli schiamazzi di sottofondo, Di Maio non sembra affatto intenzionato a mollare la presa. Anzi, “sfida” il capo a suon di incontri politici e istituzionali. Il leader di Pomigliano d’Arco riceve alla Farnesina Virginia Raggi - componente insieme a lui e Roberto Fico del Comitato di garanzia pentastellato, l’unico organismo che all’unanimità potrebbe sfiduciare il presidente - per mostrare agli scettici il potere che sarebbe ancora in grado di esercitare all’interno del M5S. «Sì, ma un’eventuale sfiducia, che Fico comunque non avallerebbe mai, dovrebbe in ogni caso essere ratificata dalla piattaforma e lì Di Maio non ha alcuna possibilità di vincere», dice un contiano. «Non sono più i tempi di Rousseau, gli attuali iscritti non sono i grillini della prima ora, sono contiani». Ma la tattica a tenaglia del più draghiano tra i grillini non si limita a controbilanciare i rapporti di forza interni, guarda anche fuori. Ed è in questa prospettiva che il ministro si fa fotografare a pranzo insieme a Elisabetta Belloni, sua «sorella», la candidata al Colle bruciata da Conte e Salvini la sera prima di costringere tutti i partiti a virare su Sergio Mattarella. Secondo la narrazione fatta circolare dai seguaci dell’avvocato di Volturara Appula, a sabotare quella candidatura sarebbero stati in realtà Di Maio e Renzi, che avrebbero tramato per fermare l’elezione ormai certa della direttrice del Dis. «Una professionista straordinaria, con un immenso attaccamento alle Istituzioni», scrive il titolare degli Esteri su Facebook, a corredo dello scatto, per ringraziare la responsabile del Dis per le parole a lui rivolte: «Con il ministro Di Maio c’è un’amicizia sempre più solida. Di Maio è sempre leale». Come dire: caro Conte, hai fatto una figura barbina per inseguire Salvini ed è bene che tutti lo sappiano. «Grazie Elisabetta, condivido pienamente quello che pensi del nostro rapporto», conclude il capo della Farnesina. Il guanto di sfida resta dunque sul terreno, ma i colonnelli contiani per ora non reagiscono.