Nessuno nel Pd lo potrebbe mai ammettere, tanto meno alla vigilia di una prova elettorale la cui modesta importanza è lievitata a dismisura dal punto di vista simbolico ed emotivo come quella in Abruzzo. Nessuno, neppure nell'opposizione interna, potrebbe dirlo esplicitamente oggi ma il principale problema di Elly Schlein si chiama Giuseppe Conte. Molto più dell'opposizione interna, impotente e imbavagliata almeno fino alle elezioni europee e se andranno bene ancor più dopo quella prova, la croce della segretaria è il leader del M5S. L'alleato necessario, imprescindibile e tuttavia deciso a tenere la papabile socia sulla corda e a farle pagare l'alleanza a prezzi da strozzo.

È un problema che Elly Schlein eredita dalla disastrosa gestione del suo predecessore nell'ultima e catastrofica fase del suo mandato. I bonzi del Pd la hanno scelta e supportata, ignorando le differenze politiche, proprio nella consapevolezza lucida e un po' cinica che solo un cambio della guardia radicale al vertice, ai limiti della rottura, avrebbe potuto far dimenticare il pregresso, incluse le scelte elettorali folli di Enrico Letta. La segretaria lo sa e per questo abusa dell'argomento, rispondendo a molte domande imbarazzanti con un semplice «io allora non c'ero». In buona parte è un espediente che ha funzionato davvero e funziona sul piano peraltro determinante. È meno efficace quando si arriva ai nodi sostanziali: la vittoria molto netta della destra, dovuta almeno nelle sue schiaccianti proporzioni alla decisione di Letta di non allearsi con i 5S e i rapporti con quel Movimento.

Letta, e con lui l'intero Pd nessuno escluso, era partito dal presupposto che, senza l'alleanza con il Nazareno, il Movimento sarebbe sparito, ridotto elettoralmente e politicamente ai minimi termini. Invece Conte ha dimostrato di poter reggere anche da solo e ha conquistato una posizione di totale vantaggio strategico che sta mettendo oggi all'incasso e non ha alcuna intenzione di fermarsi di qui alle prossime Politiche. Il vantaggio si traduce in un rapporto semplice ma schiacciante: Elly Schlein e il Pd, partito di governo nato per governare, hanno bisogno dei 5S perché senza di loro non hanno alcuna speranza di vittoria e senza quella speranza la segretaria non resisterebbe a lungo alla guida del partito. Conte e il M5S non hanno bisogno del Pd perché hanno già dimostrato di poter non solo sopravvivere ma di essere in ottima salute anche da soli. Nati e cresciuti come partito non di amministrazione e governo come il Pd ma, al contrario, come movimento d'opinione e opposizione, sanno di poter essere tagliati fuori dal governo senza perdere forza e consensi ma anzi acquistandone di nuovi. In questa disparità c'è tutto lo squilibrio che domina oggi i rapporti tra i due partiti che dovrebbero dar vita al centrosinistra coalizzato e che probabilmente lo faranno, ma alle condizioni di Conte.

Cosa significhi lo vediamo in questi giorni. L'ex premier ci tiene a vincere in Abruzzo quanto la collega del Nazareno. Ma ci tiene anche a uscire a testa altissima, cioè alla pari o quasi col Pd, dalle Europee e per questo Conte sa di dover raccogliere e capitalizzare i voti di quell'ampia parte dell'elettorato di sinistra che è contrario se non alla guerra ucraina certo alla gestione Nato e Usa di quella guerra. Dunque non si perita, anche a ridosso delle elezioni in Abruzzo, di sottolineare quel che in circostanze simili la stragrande maggioranza delle forze politiche tenterebbe di camuffare e celare: la notevole distanza che separa i due partiti sul fronte essenziale della politica estera. Conte non considera affatto secondario vincere quante più elezioni regionali possibile, o almeno provarci. Però considera ancor più strategicamente importante dar vita all'alleanza, cioè mettere il centrosinistra in grado di competere, solo alle sue condizioni, cioè con candidati scelti da lui o provenienti dalla società civile ma non dall'apparato del Pd.

Sarebbe miope pensare che questa strategia è legata solo a qualche fronte specifico, anche se la politica estera si presta perfettamente alla bisogna, o immaginare che sia destinata a essere superata una volta passate le elezioni europee. Conte martellerà sino alle Politiche quando, inevitabilmente, metterà sul tavolo il nodo della candidatura alla premiership, comunque vada a finire la partita del premierato ma a maggior ragione se la riforma della destra sarà approvata.

Per Schlein è un problema enorme perché in tutta la sua parabola e nelle sue diverse incarnazioni dal Pds al Pd passando per i Ds, il partito che guida non è mai uscito dalla visione del partito guida con alleati minori intorno, la quercia circondata da cespugli. L'esito delle elezioni del 2022, per come le aveva impostate il Pd di Enrico Letta, permette a Conte di porre come condizione per la sua presenza il superamento di quell'ottica, che tuttavia è fondante e fondativa dello stesso Pd. E quel nodo, che sinora finge di considerare secondario nascondendosi dietro la necessità prioritaria di battere la destra, prima o poi la segretaria del Pd dovrà decidersi ad affrontarlo.