Certo, c’è la guerra tra bande dentro il Pd e la conseguente linea ambigua che confonde l’elettorato. Ma i guai del Nazareno non sono l’unica causa delle sconfitte del centrosinistra. L’impresa titanica a cui è chiamata Elly Schlein, riorganizzare il campo largo per battere le destre, rischia di rimanere lettera morta se i potenziali alleati si ostinano a giocare per conto proprio, accontentandosi di un quarto d’ora di celebrità al mese per ritenersi soddisfatti. Dalla caduta del governo Draghi in poi, infatti, ai lati del Pd il copione è rimasto invariato: Carlo Calenda non vuole avere a che fare con Giuseppe Conte, che a sua volta diffida dei dem e si tiene alla larga da Azione, la cui linea politica, a sua volta ancora, dipende dagli umori quotidiani di un leader pronto a spaccare una coalizione anche dopo aver imposto le proprie condizioni al Nazareno: scaricare i 5 Stelle per abbracciare il “riformismo” all’amatriciana. Di politica nemmeno l’ombra. E mentre il campo largo si trasforma nel camposanto del centrosinistra, ogni leader sostiene di avere in tasca un’agenda preziosa e inconciliabile con qualsiasi compromesso.

L’avvocato pentastellato, che da qualche tempo ha scelto di giocare sulla sponda mancina del campo, sembra più che altro interessato a sgambettare i vicini di casa senza una vera e propria strategia che non sia quella di attendere il passo falso altrui: si dichiara disponibile al dialogo con Schlein ma se le cose si mettono male evita persino di apparentarsi ai ballottaggi. Non solo: Conte arriva pure a cimentarsi con la piazza - appuntamento fissato il 17 giugno a Roma per una manifestazione contro il governo - non per creare una piattaforma d’opposizione, ma per godersi lo spettacolo di un Pd attaccato al palo, incapace persino di avere una voce sola sulle politiche del welfare e del lavoro. Se poi alle Amministrative, come avviene con sempre più preoccupante frequenza, il Movimento 5 Stelle raramente riesce a toccare quota 2 per cento, pazienza. A quanto pare non sono problemi dell’ex premier, che prende sberle senza scomporsi: non si può essere sconfitti se si parte senza ambizioni. «Bisogna assicurare presenza nelle città e nei quartieri tutti i giorni», dice Conte, cimentandosi con l’analisi del disastro. E per fermare la slavina la ricetta contiana è pronta: «Dopo una laboriosa attività istruttoria interna oggi partono 84 gruppi territoriali, i primi gruppi che lavoreranno in questa direzione». Sarà la quindicesima volta che viene annunciata la creazione di strutture locali per “intercettare” i bisogni dei cittadini, ma neanche una parola chiara sul percorso politico che si intende seguire. Se non un vago: «Siamo disposti a dialogare con il Pd, con Schlein, ma siamo disposti a farlo su temi e progetti, misurandoci su risposte concrete ai bisogni della comunità nazionale senza compromettere le nostre battaglie più significative». Come se fosse Antani.

E se Conte continua a giocare a nascondino, Carlo Calenda non sembra intenzionato a indossare i panni dell’adulto. «I modelli Brescia/ Vicenza possono essere ripetuti se il Pd riuscirà ad uscire dal guado riformismo/ massimalismo, smettendo di inseguire Conte e se i partiti libdem, dopo aver fallito la prova del partito unico, riusciranno a collaborare rispettandosi», commenta l’ex ministro dello Sviluppo economico, perseverando nello schema “se c’è lui (Conte) non ci sono io”. Peccato che quello schema, per quanto abbia funzionato a Brescia e Vicenza, le uniche due città andate al centrosinistra e senza grillini in coalizione, non possa essere esattamente considerate un “modello” da riproporre a livello nazionale, dove il consenso pentastellato ( a differenza di ciò che avviene a livello locale) diventa determinante per vincere. Il Terzo Polo infatti che a Brescia porta a casa un buon 7 per cento e a Vicenza non va oltre il 3,5 - da solo pesa molto poco su scala nazionale. Senza contare il fatto che ancora, tra le spinte di Calenda e quelle di Renzi, non appare chiaro il posizionamento di questa forza politica morta sul nascere ma capace di dialogare con tutti gli schieramenti. Forse, prima di pensare ad alleanze, ogni partito farebbe bene a chiarirsi le idee al proprio interno. E una volta compresa la portata della partita, iniziare a fare politica.