Uno dei problemi principali, quando si denuncia una atroce violazione delle regole al giorno e spesso a sproposito, è che quando quella violazione si verifica davvero finisce per perdersi nel fragore indistinto delle polemiche quotidiane. È appena capitato.

L'intervento estremamente brutale col quale, grazie a un emendamento cotto e mangiato, il governo ha messo a tacere la Corte dei Conti in materia di Pnrr è il primo vero atto d'autorità grave da parte del governo Meloni. Ma va da sé che, dopo aver fatto passare per un mezzo golpe il non aver convinto Fabio Fazio a restare in Rai (perché di questo s'è trattato) o dopo aver strillato a più non posso per la scelta di confermare la scelta di una presidente dell'antimafia invisa all'opposizione per motivi inaccettabili, la portata dello strappo sfugga a quasi tutti.

Potrebbe non sfuggire però agli occhi del capo dello Stato. Gli estremi ci sarebbero. Non è passato molto da quando il presidente aveva convocato i presidenti delle Camere per chiedergli di farla finita con la pessima pratica di modificare in proporzioni gigantesche i decreti a colpi di emendamenti, ed è proprio un emendamento apportato in extremis al dl Pa che ammutolisce la Corte dei Conti. È in discussione un equilibrio istituzionale, dunque materia eminente della vigilanza del Colle. Infine in questo caso non si tratta di una scelta forse inopportuna ma in ultima analisi indiscutibile ma della decisione di impedire controlli scomodi sul Pnrr in corso d'opera. La Corte si potrà esprimere, certo, ma solo a cose fatte. Da Bruxelles trapelano dubbi. E dal Colle?

Molto difficilmente il presidente metterà becco. In parte perché la materia, come attesta il sostegno alla scelta del governo di Sabino Cassese, è davvero controversa. Molto perché, a tutt'oggi, Sergio Mattarella è ancora deciso a seguire la linea che ha adottato sin dall'inizio di questa legislatura: evitare per quanto possibile scontri e tensioni, garantire anzi al governo una notevole agibilità sia pur entro limiti che il presidente non permetterebbe di varcare.

Il messaggio per la Festa della Repubblica è esemplare. Mattarella ha parlato non di immigrazione ma di emigrazione. Ha ricordato il grande contributo dato dai nostri emigrati allo sviluppo dei Paesi d'accoglienza, le difficoltà iniziali, il rapporto reciprocamente proficuo. Impossibile credere che non alludesse al fatto che gli stessi vantaggi possono esserci anche per noi ora che siamo Paese d'accoglienza. Ha parlato anche dell'emigrazione di oggi, quella delle eccellenze, la cosiddetta «fuga dei cervelli» ma anche qui ha calibrato le parole. Ha specificato che deve essere sempre una scelta e non una costrizione ma evitando toni nazionalistici e anzi esaltando «la circolazione dei talenti»: una visione nella quale i confini perdono d'importanza.

Si trattava certamente di un messaggio in codice, un monito però non minaccioso, una forma di moral suasion indiretta. Messa però in modo da non suonare neppure in un minimo accento come critica aperta dell'impostazione del governo, pur palesemente opposta a quella del primo cittadino.

La sera precedente, nel tradizionale ricevimento serale al Quirinale, il presidente aveva invece centrato l'obiettivo solo sulla guerra. Per ricordare che l'Italia la ripudia e ribadire l'impostazione radicalmente pacifista della nostra Costituzione. Salvo poi specificare che sostenere la guerra di Resistenza dell'Ucraina aggredita è invece tutt'altra cosa e pienamente in linea con i nostri valori.

Probabilmente a Giorgia Meloni sarà piaciuto anche il secondo discorso, tanto era indiretto allusivo e comunque gratificante per l'orgoglio nazionale di cui si ritiene depositaria più o meno unica. Di certo le è piaciuto quello della sera prima, nel corso di quel ricevimento del quale è stata la stella. L'impostazione di Mattarella, in realtà piuttosto radicale anche a confronto degli altri Paesi dell'Europa occidentale, è la sua clausola di garanzia, la carta vincente che la mette al riparo persino quando, come nel caso della Corte dei Conti, si espone a critiche e accuse non solo propagandistiche come nella maggior parte degli altri casi. Uno scudo in grado di difendere la sua posizione da droni e missili politici in Italia come in Europa.