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Referendum sulla giustizia, sull’eutanasia e sulla cannabis. Quella del 2021 passerà forse alla storia come l’estate dei referendum. O meglio, delle raccolte firme record per promuovere consultazioni popolari. In meno di due mesi più di 900 mila sottoscrizioni per il fine vita proposto dall’Associazione Luca Coscioni e oltre 700 mila per i quesiti sulla giustizia, sotenuti da Radicali e Lega. E sono bastati quattro giorni per sfiorare quota 400 mila firme per il referendum sulla legalizzazione della cannabis, praticamente a un soffio dalle 500 mila necessarie a proporre il quesito entro il 30 settembre. In appena 96 ore. Merito della norma, introdotta il 20 luglio, che permette di sottoscrivere i moduli con firma digitale. I banchetti in giro per le piazze italiane sono destinati a diventare un lontano ricordo o, nella migliore delle ipotesi, una liturgia di contorno in memoria del Novecento. Se Marco Pannella per un verso e Gianroberto Casaleggio per un altro fossero ancora vivi non crederebbero probabilmente ai loro occhi. L’estate del 2021 è il trionfo della democrazia diretta, della cittadinanza attiva, del colpo di grazia a ogni parvenza di partitocrazia ancora rimasta in piedi. I cittadini si trasformano in legislatori, in soggetto attivo della politica, in spensierati “assassini” della democrazia rappresentativa. Il Parlamento, già ridimensionato da vent’anni di governi “forti” dall’alto rischia adesso di venire svuotato definitivamente dal basso, dalla gente. I partiti, responsabili della loro stessa impotenza, non serviranno più nemmeno per mettere a disposizione di una causa la loro macchina organizzativa fatta di militanti e gazebo. È il modello Rousseau che si fa sistema, la disintermediazione definitiva che passa senza manco fare troppo rumore. Con tutti i vantaggi e le disfunzioni che ciò comporta. Perché somigliare alla Svizzera - vera patria della democrazia diretta, dove i cittadini sono chiamati a esprimersi almeno quattro volte l’anno (contando solo i referendum federali) - significa tendere anche verso un disegno non molto distante da quello teorizzato da Casaleggio: la politica di milizia, ovvero estranea al professionismo. Un impegno quasi saltuario, insomma, che non richiede dedizione esclusiva. La svolta potrebbe anche avere il suo fascino, soprattutto per i grillini più appassionati, ma non basta un click per ridurre la complessità. Anzi, a volte può persino crear danno. Perché i cittadini non sono ontologicamente “migliori” di chi li rappresenta, non sempre possono dedicare il loro tempo necessario ad approfondire temi magari sconosciuti. La politica non è inutile. E come per progettare una casa ci vuole l’ingegnere, per prendere decisioni che ricadono sulla collettività, e scegliere come farle ricadere sulla società in base a una propria visione del mondo, serve chi fa questo di mestiere. E si assume la responsabilità della scelta. Questo non significa impedire agli elettori di esprimersi anche col referendum, ma evitare di ricadere in trappole populiste. I costituenti non avevano pensato di porre alcun limite allo strumento in questione, se non la raccolta firme, ma forse non potevano neanche immaginare una tale semplicità di accesso al referendum e una possibile mobilitazione permanente della popolazione. Un conto è consultare la gente su grandi temi - etici, di diritti civili, di libertà di scelta - altro è chiedere un parere su tecnicismi che necessitano di approfondimento estremo e mediazione. E mentre la svolta epocale irrompe nella vita del Paese è paradossale che nessuno dei referendum proposti sia stato promosso dal Movimento 5 Stelle, il partito un tempo del web che otto anni fa scardinò le porte del Parlamento al grido di «uno vale uno». I “cittadini” arrivati al potere contro la “casta” oggi preferiscono le riforme alle consultazioni. La storia della casalinga di Voghera ministra dell’Economia - trovata uscita dalla testa di Beppe Grillo - si è rivelata mera propaganda a cui in tanti avevano creduto. Ben venga ogni coinvolgimento della collettività nei processi decisionali, senza mai confondere però il principio della rappresentanza come inutile orpello da rottamare.