Per la serie: stai sereno, Matteo, resta dove sei. Tradotto: c'è ancora o no qualcuno che, al di là del risultato referendario, insiste nel volere Renzi fuori da palazzo Chigi? Quesito assai meno paradossale di quanto appaia e che getta una luce particolare sulle prossime settimane di campagna elettorale. Vediamo. La Lega, certamente. E poi anche Fratelli d'Italia. E poi... niente: poi basta. Nel Pd litigano su tutto ma - ed è un mezzo miracolo - su questo sono uniti: maggioranza e minoranza reclamano che il premier, anche se vince il No, resti al suo posto. Tra i berluscones, è noto, Fedele Confalonieri farebbe le barricate attorno alla sede del governo: ma per impedire a Matteo di uscire. Forza Italia e dintorni sono un campo d'Agramante. Il primo a dire che il governo deve comunque restare in sella è stato Stefano Parisi. Ora, dopo infiniti gossip, le cronache narrano che anche nel faccia a faccia al Quirinale con Sergio Mattarella, Silvio Berlusconi sull'ipotesi di dimissioni abbia fatto spallucce. Neanche i grillini si svenano: la vittoria del No referendario è una cosa; che il premier faccia le valigie lasciando vuota la poltrona di presidente del Consiglio, è tutt'altra. Costringerebbe il M5S ad assumere decisioni politiche: esercizio che notoriamente manda in tilt gli algoritmi rousseauiani. Così si capisce che lo sfogo di "Dibba" (al secolo Alessandro Di Battista) carpito dal Messaggero: «La cosa che mi fa più rabbia è che anche se perde Renzi rimane dov'è» era soprattutto un'ammissione di impotenza, l'arrendersi ad un copione già scritto. Risultato: da trino che è, il panorama politico italiano diventa uno nel proclamare che all'indomani del referendum "fine-di-mondo" copyright del dottor Stranamore, tutto cambi affinché nulla muti.Perchè? Come si è passati dal premier contro tutti, al tutti contro il premier, per finire al tutti (o quasi) per il premier che resti dov'è? Per capirlo, o almeno tentare, bisogna tirare il filo che lega i Palazzi della politica e che fa capo al Quirinale. E' infatti Mattarella, con la felpatezza che in passaggi così delicati diventa obbligata, a muovere le acque del confronto tra partiti. L'obiettivo della moral suasion del Colle, mai come stavolta discreta e pressante al tempo stesso, ha l'occhio rivolto al 5 dicembre, quando le urne referendarie avranno emesso il loro verdetto. Mattarella è preoccupato della piega che ha preso la campagna elettorale: lo scontro senza quartiere che evoca l'Armageddon - e che sta trasformando l'Italia, non solo quella politica ma anche quella sociale, per esempio attraverso la faglia tra generazioni: giovani per il No, anziani per il Sì - lo inquieta non poco. Se si producono macerie, poi ricostruire è difficile. Perché il 5 dicembre l'Italia, che abbia vinto il Sì o prevalso il No, non cesserà di esistere. Nè verranno meno i tanti ed aggrovigliati problemi che l'affliggono. Ma se il perimetro di gioco è devastato dai crateri delle bombe polemiche, chi mai potrà stare in campo? Per questo il capo dello Stato si occupa di sminare il terreno. Ricordando che comunque vada Roma resterà la capitale di un Paese fondatore dell'Unione e perciò ultra europeista. O che, indipendentemente dal responso elettorale e da dove risieda: ora ad Arcore, ieri a palazzo Grazioli, l'ex premier rimane sensibile al richiamo del buon senso istituzionale e, detto in prosa, della governabilità necessaria e da garantire senza se e senza ma.In altri termini quel che occupa la mente del presidente della Repubblica è il pensiero del day after. Il giorno dopo il verdetto referendario, infatti, mai e poi mai l'Italia può permettersi di cadere preda di manovre speculative dei mercati o di delegittimazioni e declassamenti in ambito comunitario. Al contrario, deve a tutti i costi proseguire nel cammino delle riforme, compresa quella più delicata di tutte: il cambio dell'Italicum.Non è un risultato scontato, per ottenerlo occorre lavorare sodo. E l'unico che può farlo al riparo degli "arruolamenti" strumentali e interessati di questo o quello schieramento, protetto dallo scudo super partes del suo ruolo, è l'inquilino del Colle. Un compito al quale Mattarella non intende assolutamente sottrarsi.Bene così? Mah, fino ad un certo punto: siamo o no il Paese dei paradossi? E infatti l'elenco iniziale riguardo chi vuole Renzi estromesso dalla sala del Consiglio dei ministri rischia di annoverare a sorpresa proprio lui: il capo del governo. Salvo infatti colpi di scena delle ultime settimane, è plausibile o che prevalgano i No come dicono i sondaggi oppure che il Sì ce la faccia ma di poco. Insomma niente plebisciti, niente incoronazioni. Forse è per questo che tanti sollecitano, con retropensieri non proprio limpidi - di più: sereni - a non cambiare scenario governativo, cioè a lasciare Renzi dove sta con un obiettivo preciso: fargli recitare la parte di San Sebastiano. Potrebbe essere la tentazione che mette insieme gli interessi di Berlusconi, Grillo, D'Alema, Bersani, gli ultimi due pronti poi a dare battaglia nel Pd per un nuovo segretario. Ma l'ex sindaco di Firenze, ci starebbe? O piuttosto rovescerebbe il tavolo, blindandosi certo: ma al Nazareno? Chissà. Può anche essere che la vera posta in palio nelle urne del 4 dicembre sia o diventi questa. Ah, già: e anche la fine del bicameralismo, ovviamente.