Martedì era nella sua Milano, in piazza San Babila, per protestare contro il summit in prefettura tra Matteo Salvini e il premier ungherese Victor Orban. «Una manifestazione doverosa - spiega Pippo Civati anche alla luce delle terribili immagini di tortura che arrivano dalla Libia e che nessuno può permettersi di ignorare». Un argomento, quello dei lager nordafricani, al quale il fondatore di Possibile ha dedicato un libro di denuncia dal titolo quanto mai evocativo: Voi sapete - L’indifferenza uccide.

Ora però sappiamo: i video finiti tra le mani del Papa meritano un’attenta riflessione. Salvini ha più volte definito di recente la Libia un porto sicuro.

Ha ragione Sansonetti. Sono immagini che nessuno può permettersi di ignorare, e che mettono ancora una volta l’Italia e l’Europa di fronte alle loro responsabilità. Ma sono anche immagini che continuano a raccontare orrori che si perpetuano ormai da troppo tempo e che tutti conosciamo benissimo da anni. Testimonianze che dovrebbero spingerci a rovesciare immediatamente la prospettiva. È dovere della politica liberare questi uomini detenuti illegalmente da uno stato di schiavitù degradante e intollerabile.

Si parla di questi campi di concentramento sin dai tempi degli accordi tra Gheddafi e Berlusconi. Eppure non si è mai mosso un dito. Occhio che non vede cuore che non duole?

Gli occhi vedono queste cose benissimo da tempo. Il proble- ma è che facciamo finta di non vederle, data la mole copiosa di testimonianze che hanno gettato luce sull’argomento. Parlare di Libia come porto sicuro è una cosa che si commenta da sé. Salvini ha persino parlato di «centri d’avanguardia» in Libia. Come si può pensare di respingere o trattenere i migranti in luoghi del genere, dove le torture e le umiliazioni sono quotidiane? Le responsabilità del leader leghista non sono tuttavia le sole. Il ministro dell’Interno ha agito in continuità con l’ultimo governo di centrosinistra che non può dirsi esente da colpe.

Si riferisce agli accordi stipulati con Tripoli da Minniti?

Proprio così. Sulla questione abbiamo anche provato a sollevare un conflitto di attribuzione presso la Corte costituzionale. Quegli accordi, a differenza dei mille altri stipulati con altri Paesi, non sono stati ratificati dal Parlamento. Quando Minniti li ha siglati con i sindaci libici, ne ha parlato come si trattasse di un protocollo con l’Anci.

Nelle stesse ore in cui Salvini annunciava un’intesa con Orban - notoriamente contrario ai ricollocamenti - il premier Conte incontrava il suo omologo ceco per sensibilizzarlo sul tema della redistribuzione. Così la crisi migratoria non rischia di avvitarsi ancora di più, in presenza di strategie che sembrano totalmente differenti?

C’è in effetti una divaricazione evidente. Il premier e il ministro degli Esteri si spendono per i ricollocamenti, mentre il ministro dell’Interno stringe alleanze con chi ha indetto un referendum per fermare la redistribuzione. Nel governo ci sono poche idee, ma ben confuse. Mi sembra che entrambi i partner di governo puntino alla propaganda e alla speculazione, assecondando una linea che renderà molto difficile l’ottenimento di risultati concreti in Europa.

Sette cattolici su dieci sono con Salvini, secondo gli ultimi sondaggi. E per l’istituto Cattaneo la stessa percentuale di connazionali percepisce i migranti in numero quadruplo rispetto a quelli effettivamente presenti in Italia. Scendere in piazza a settembre, come dice la Castellina, non potrebbe essere controproducente se ci si limita a compattare la sinistra soltanto sulla questione degli immigrati?

Alla Castellina rispondo con simpatia che noi ci siamo portati avanti: siamo in piazza già da agosto. Ad ogni modo da Milano sono arrivati segnali incoraggianti. Eravamo in tanti. E anche sui social le persone cominciano a far sentire il loro sdegno, spinti dal bisogno di arginare una deriva sempre più incontrollabile e inquietante. Ad azioni così violente come quelle messe in campo da Salvini e sostenute in precedenza anche da Minniti, bisogna ri- spondere in piazza con altrettanta forza. È necessario offrire al Paese una prospettiva diversa, anche per smascherare i balletti del governo. Che ha danzato intorno alle navi delle ong e della Diciotti soltanto per mascherare l’assenza di provvedimenti politici concreti in campo economico e sociale.

È la prospettiva illustrata da Veltroni ieri: tutti uniti contro l’estrema destra. Basta questo per riunire la sinistra?

Riflessione alta, quella di Veltroni. Ma nella quale manca come sempre un po’ di realtà. Mi avrebbe fatto piacere che questi spunti fossero arrivati mentre Renzi viveva l’apogeo della sua parabola. La verità è che l’opposizione in piazza va fatta perché è giusto farla. La storia insegna che di fronte al razzismo non si possono fare sconti. Ma la mobilitazione da sola non basta di certo, per far rinascere la sinistra. In assenza di un’adeguata riflessione e della necessaria autocritica, il concetto di sinistra resta un vago ideale.

Va notato peraltro che oggi è a destra il mondo operaio che ha votato Trump a Detroit o per l’estrema destra in Germania.

La vicenda dirimente è oggi quella diseguaglianza. La ricchezza si sta polarizzando, con la conseguenza che si è innestata nella società la guerra tra i poveri da una parte, e la tentazione dell’uomo forte dall’altra. In assenza di vere soluzioni a favore degli ultimi, degli emarginati, e degli sconfitti della globalizzazione, la sinistra non riuscirà mai a uscire dal guado.