Lo studioso spagnolo di media Manuel Castells da anni analizza le potenzialità della rete e ha definito gli effetti della comunicazione on line come “auto comunicazione di massa”. Cioè tutti possono disporre, se si è capaci, di una piccola agenzia di comunicazione tascabile.Ciò è diventato ancora più vero nel momento in cui la comunicazione politica ha cominciato ad approcciarsi al mondo web fino ad arrivare alla pervasività attuale dei social media.Castells rintraccia il primo vero episodio di “auto comunicazione di massa” nel 2004. All’epoca degli attentati di Madrid una catena di sms, poche stringhe di caratteri, riuscì a smascherare le versioni ufficiali del governo di Aznar e catapultare al potere Zapatero.Da quel momento in poi la politica ha compreso bene la lezione. L’esempio di uso del web, che portò Barack Obama alla presidenza degli Stati Uniti, è rimasto magistrale. E anche recentemente  Donald Trump, con i suoi tweet compulsivi, ha contribuito non poco ad una elezione inaspettata. L’irruzione dei social media dunque ha cambiato ancor di più il quadro ma ha anche complicato la gestione della comunicazione da parte dei politici.Le elezioni politiche italiane del 4 marzo scorso hanno fatto fare un balzo in avanti per la propaganda dei vari partiti. O meglio, per i leader che hanno acquisito ancora più visibilità a scapito delle formazioni di cui sono alla guida.La fine del finanziamento pubblico dei partiti e le casse vuote hanno favorito lo sbarco sulle piattaforme social e ora la parola d’ordine è “disintermediazione”. Il rapporto diretto con i potenziali elettori ha dato luogo a esperimenti interessanti dal punto di vista della comunicazione politica.La tv ha perso progressivamente terreno e lasciato spazio agli spot di Renzi su youtube, alle spiegazione su come votare di Berlusconi, alle presentazioni di ipotetici ministri di Di Maio. Ma la carta vincente è stata quella della Lega, il concorso Vinci Salvini, è forse la carta più efficace dell’ultima campagna elettorale.Si tratta di un vero e proprio concorso a premi lanciato da un video nel quale sono state annunciate diverse categorie di partecipazione e diversi tipi di premi per gli utenti più attivi e rapidi nel condividere i materiali e mettere i ''mi piace'', sino a poter incontrare di persona proprio Matteo Salvini.In questo caso il leader leghista ha sfruttato completamente le caratteristiche di Facebook, divenendo lui stesso il prodotto da “vendere”. Qualcosa che gli utenti hanno riconosciuto e premiato. Un caso raro.Come ha analizzato il blog Umanesimo Digitale, i leader sembrano aver usato i social secondo una stessa modalità, “una pagina pubblica, da cui far partire in ogni direzione e attraverso campagne a pagamento contenuti che avrebbero dovuto coinvolgere fasce differenti di pubblico”. Poca fantasia ma soprattutto una non conoscenza dei meccanismi social. In assenza di confronti diretti in tv i politici si sono affidati quasi esclusivamente a post sponsorizzati e diretti a fasce di potenziali elettori ben determinati. La cosiddetta profilazione.Come fa notare giustamente Umanesimo Digitale è difficile, giudicare “quanti e quali voti i social media abbiano contribuito a smuovere da una parte all’altra… quanto sia difficile definire un pubblico per le campagne a pagamento, e quanto le metriche di misurazione dei social siano incomplete e spesso fuorvianti.Ma appare evidente che è mancato lo sfruttamento di alcune possibilità che pure esistevano. Concentrati come erano a differenziarsi dai competitors, i candidati hanno evitato lo scontro diretto sottovalutando che potevano scatenare un dibattito in qualunque luogo e momento, commentando i post dell’avversario oppure inserendosi negli street social (gruppi di vicini di casa o quartiere, di acquisto collettivo, scambio, etc). Una mancanza che ha colpito le formazioni più piccole e poco visibili, lo dimostra l’irrilevante visibilità di leader come Piero Grasso di Leu la cui pagina ha collezionato solo 140000 fans rispetto ai 2milioni di Salvini o agli 1.3 milioni di Di Maio.Eppure gli esempi in Europa non mancavano, basti pensare al protagonismo social di Marie Le Pen durante le ultime presidenziali francesi ma soprattutto alla strepitosa rincorsa del leader di France Insoumise,Jean-Luc Mélenchon che nel solo mese di Aprile dello scorso anno è stato capace di attrarre ben 200.000 nuovi fan raggiungendo 913.109. Una crescita di popolarità social del 27% dovuta soprattutto al lavoro fatto sui microblogging.