In un lucido articolo uscito ieri sulla Stampa Flavia Perina denuncia l'esistenza nell'Unione europea di un Fattore D, riferendosi alla Destra, non dissimile dal Fattore K in vigore all'epoca della guerra fredda: quella convenzione non codificata ma ferrea che proibiva ai partiti comunisti l'accesso ai governi dei Paesi del blocco occidentale. È forse anche più attagliato un altro precedente che pure Perina richiama nel suo commento: quella logica dell'arco costituzionale che in Italia condannava all'isolamento il Msi, erede del fascismo sia pure con una progressiva adesione ai valori democratici. La Dc, il partito cattolico e centrista di maggioranza relativa, non esitava in realtà ad appoggiarsi al Msi se e quando necessario, ad esempio in molte amministrazioni locali minori, ma sempre relegandolo nel ruolo del paria impresentabile, col quale non farsi mai vedere in pubblico.

È questa la condizione di 'underdog' alla quale allude Giorgia Meloni, che peraltro la ha conosciuta solo di striscio e per sentito dire: quando quel muro è crollato, nel 1994, aveva 17 anni. Allo stesso modo le famiglie tradizionali e blasonate della politica europea sono più che pronte a usare la premier italiana, ad esempio quando i suoi buoni uffici sono stati necessari per trattare con Orbàn lo sblocco degli aiuti all'Ucraina, salvo poi riscoprirla “intoccabile” al momento di decidere i prossimi vertici dell'Unione.

Per Flavia Perina questa scelta è in prospettiva disastrosa e autolesionista: spinge infatti anche una forza di destra non eversiva nei confronti dell'establishment europeo verso l'abbraccio con le forze più radicali e sovraniste, non solo quelle che fanno parte dell'eurogruppo Identità e democrazia ma anche molte che figurano invece tra i Conservatori e riformisti, il Gruppo europeo di cui proprio Meloni è presidente. Il pericolo è in realtà anche maggiore.

Nel Parlamento europeo non esiste una maggioranza politica come nei Parlamenti nazionali. Quella maggioranza si forma al momento di votare la presidenze della Commissione europea e si dissolve subito dopo, non esistendo alcun vincolo di maggioranza formalizzato. In una situazione simile spingere l'intera destra verso posizioni pregiudizialmente ostili e sabotatorie potrebbe rivelarsi in futuro devastante.

Soprattutto la conventio ad excludendum si profila in questo caso come ingiustificata, sia che la si intenda come fattore K sia che la si ricalchi sull'arco costituzionale italiano. Entrambe le giustificazioni sono in realtà frequentemente addotte. Quella che richiama il Fattore K argomenta che non si possono aprire le porte a forze politiche sospette di intelligenza col nemico, cioè con Putin, come non lo si poteva fare durante la guerra fredda con partiti alleati di Mosca. Il ragionamento ha una sua logica, almeno se si accetta la realtà di uno stato di guerra, fortunatamente non guerreggiata o non ancora, che tuttavia nessuno ha avuto il coraggio di dichiarare apertamente. Ma l'appunto non può in nessun caso essere mosso a danno di partiti come FdI in Italia o il Pis polacco.

Il muro che tagliava fuori il Msi, in Italia, si basava su un fatto preciso: il Paese aveva alle spalle, in un passato ancora recente, vent'anni di dittatura e una guerra tremenda, entrambe opere del regime di cui il Msi reclamava, riadattandola e revisionandola, l'eredità. I partiti di destra in Europa si macchierebbero, quasi sempre nelle intenzioni, dello stesso delitto: la non accettazione dei valori di base sui quali si fonda l'Unione. In molti casi è vero, anche se ci si dovrebbe chiedere perché allora l'Ungheria di Orbàn continua a essere parte di quell'Unione i cui valori tradisce. Però, propaganda a parte, accusare la destra al governo dell'Italia da due anni di aver tradito la democrazia è senza alcun dubbio immensamente esagerato.

Il nodo scorsoio, nel tentativo in corso di spingere FdI e la sua leader nel ghetto con una brutalità che ha lasciato sbigottiti anche molti dei capi di governo presenti alla famosa cena di lunedì scorso a Bruxelles, è in fondo questo. La conventio ad excludendum reclamata da capi di governo come Macron e Scholz non risponde davvero ad alcuna logica europea, che suggerirebbe al contrario di dividere la destra invece di compattarla e di adoperarsi per renderla sempre più compatibile con i valori europei invece che spingerla verso posizioni radicali. L'interesse è nazionale.

Macron si irrigidisce con Meloni e in mente ha Marine Le Pen. Il cancelliere tedesco fa l'intransigente a Bruxelles in base a timori che riguardano la possibilità di future alleanze tra i rivali della Cdu e una AfD che domani potrebbe essere meno impresentabile di oggi. Cortile di casa celato dietro la retorica dei valori europei. Ma per questa strada una vera Unione europea non ci sarà mai.