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Due partiti e due leader annaspano da mesi, anzi da anni, senza riuscire a riemergere: la Lega di Salvini e il M5S di Conte. Sono i due partiti che avevano trionfalmente vinto le ultime elezioni politiche e la loro parabola è singolare, dunque molto più significativa del solito. I 5S sono stati al governo, con tre maggioranze diverse, per tutta la legislatura e per tre anni hanno espresso il presidente del consiglio. La Lega è stata all'opposizione per circa un anno e mezzo occupando invece ministeri importanti prima e dopo la fase del governo Conte 2.
Il primo governo, quello gialloverde, aveva mantenuto molti dei suoi impegni elettorali, con provvedimenti detestati da una parte dell'elettorato ma molto graditi a un'altra e cospicua parte del Paese, in particolare il Reddito di Cittadinanza senza il quale il costo sociale della crisi Covid sarebbe stata incommensurabilmente più alta. Il gradimento di quel governo era alto e premiava soprattutto Salvini, che aveva raggiunto vette di consenso, nei sondaggi, tanto alte da preoccupare tutti, rivali, alleati storici, soci di maggioranza.
Proprio per impedire a Salvini di fare il pieno di voti correndo alle elezioni nel momento di massima popolarità Pd e 5S diedero vita a una maggioranza ancora più improbabile di quella M5S- Lega precedente. Il secondo governo Conte, tuttavia, non incorse affatto nelle ire dell'elettorato. Al contrario il premier Conte sostituì Salvini nel cuore degli italiani, tanto popolare da essere considerato addirittura “insostituibile”. Se alla crisi del suo secondo governo fossero seguite elezioni a breve il consenso sarebbe stato oceanico.
Invece prese vita il governo Draghi, sostenuto dalla più bizzarra tra le improbabili maggioranze di questa legislatura, ma anche in questo caso il consenso non è mancato e non manca. Il governo in carica è popolare e apprezzato. E tuttavia i principali partiti che lo sostengono calano vertiginosamente nei sondaggi mentre lievita il solo partito d'opposizione, FdI. Le stranezze non si fermano qui: sul tema di gran lunga più determinante di ogni altro, la guerra, la maggioranza degli italiani non concorda con la linea del governo, senza che peraltro ciò incrini profondamente la fiducia nel premier e anzi, nei sondaggi, crescono proprio i due partiti più allineati alla politica di Draghi: il Pd di Letta e, pur dagli spalti dell'opposizione, Fdi. Pagano invece dazio i partiti in sintonia con l'elettorato: appunto Lega e M5S.
Sembra evidente che, nel caos in cui la politica è precipitata in questa legislatura, gli elettori premiano non tanto le posizioni politiche e addirittura neppure i provvedimenti legislativi ma la capacità di restituire un'immagine coerente, di apparire come dotati di una linea di condotta e di un indirizzo deciso. Punisce invece i partiti che, per divisioni interne o per calcoli di opportunità, sono costretti a ondeggiare, criticando ma poi votando disciplinatamente, strillando come se si trovassero all'opposizione e poi piegandosi come i partiti di maggioranza che in realtà sono.
Le spiegazioni della rotta dei due principali partiti “populisti” sono molteplici. Alcune attengono a una trasformazione del quadro mondiale iniziata con il Covid e proseguita con la guerra che ha lasciato spiazzata soprattutto la Lega. Altre derivano da una divisione interna lacerante e irrisolta che esercita un puro effetto paralizzante soprattutto sui 5S. Entrambi i partiti, poi, pagano l'assenza di un orizzonte politico non circoscritto alla propaganda che nella Lega di Salvini, a differenza che in quella di Bossi, è sempre stato nebbioso e indistinto e che nei 5S è scomparso con la morte del vero leader e strategia oltre che ideologo, Gianroberto Casaleggio. Incide però anche un fattore solo in apparenza più contingente: per diversi motivi il Pd di Letta e il partito di Giorgia Meloni sono stati i meno condizionati dalla paura delle elezioni e dunque, almeno a partire dal crollo della maggioranza gialloverde del 2019, quelli maggiormente in grado di impostare una strategia non ondivaga e “just in time”.
Il dilemma che si pongono oggi tanto Salvini quanto Conte è questo: dover decidere, nel poco tempo che ancora li separa dalle elezioni, se assumersi la responsbilità di una linea politica, pagandone i prezzi in termini di alleanze, oppure se proseguire nella strategia fallimentare dei partiti “di lotta e di governo”.