Dopo quel riconoscimento a sorpresa, suonato, ma solo in apparenza, quasi un endorsement, a Matteo Renzi riconosciuto come l'unico leader su piazza, del quale ha ammesso anche il diritto di mandare la lettera agli italiani all'estero, facile e prevedibile l'esultanza dei sostenitori del Patto del Nazareno, un partito però spesso più di carta, che fatto di politica reale.E facili i retroscena di chi vede nella mossa di Silvio Berlusconi un modo per ingraziarsi il governo che deve ancora esprimere il suo parere alla Corte europea di Strasburgo dove l'ex premier ha fatto ricorso contro la sua incandidabilità. Prevedibile anche che si mettano di mezzo i problemi delle aziende e quelli relativi alla quota di Mediolanum detenuta da Berlusconi che la Bce ha congelato. Ma il punto è che Berlusconi a Rtl ha detto che in campo ci sono solo due leader: Renzi e lui medesimo. Non a caso il capogruppo leghista al Senato Gianmarco Centinaio subito reagisce ricordando la leadership di Salvini. Certo, la sottolineatura di Fedele Confalonieri sul fatto che «Renzi gli somiglia un po», si presta a rialimentare tutti i più prevedibili retroscena, schiacciati sul lato aziendale, persino quello secondo il quale Berlusconi ora sarebbe per il Sì (mentre ribadiscono i suoi è convintamente per il No) e il solito che vede in Renzi il suo erede.Elio Massimo Palmizio, uno dei fondatori di Forza Italia, tra i rari, se non l'unico, rimasti in Parlamento, ex manager Fininvest, del gruppo dei "magnifici" 27 che dettero vita al partito azzurro, coordinatore regionale emiliano fotografa la situazione con una efficace battuta detta in Transatlantico ai suoi colleghi: «Colpo al cerchio, colpo alla botte e Silvio al centro». Dopo aver constatato oggettivamente che «oggi in Italia di leader veri dentro la politica ce n'è uno solo ed è Matteo Renzi», il Cav però aggiunge che c'è poi lui medesimo e «fuori dalla politica». Notazione che di fatto non può non ammiccare ai tanti, soprattutto agli elettori anti-sistema di Grillo, ritenuto il nemico numero uno.Ragione per la quale ha voluto, almeno per ora, liquidare Stefano Parisi per ricucire con Matteo Salvini che non vuole regalare ai populisti. Dice il leader azzurro, parlando in terza persona: «Fuori dalla politica forse di leader veri ce n'è qualcuno, ma dalla politica è stato buttato fuori». E su Salvini: «Spero che la Lega possa aderire a una coalizione con noi e che l'unica forza populista in Italia sia quella dei Cinque Stelle». Apre al leader leghista e alla leader di F. d'I Giorgia Meloni, che con il capogruppo alla Camera Fabio Rampelli aveva lanciato per prima le primarie di coalizione. Il Cav ora non le esclude ma a condizione «che siano regolate da una legge». Ai due alleati principali e non solo a Parisi però invia di fatto il chiaro messaggio che il leader è ancora lui: «Nessuno può essere leader se gli altri non sono d'accordo. In una coalizione i toni accesi non servono». Su Parisi il passaggio più duro appare quello nel quale gli ricorda che lui non gli aveva dato il mandato da leader e fa trasparire la sua delusione per il fatto che declinò il suo invito a fare il coordinatore di FI: «Chiunque può pensare di avere la guida di una coalizione se i membri della coalizione lo accettano. Non era questo il ruolo di Parisi, era quello di raccogliere risorse nuove tra la società civile, Parisi ha sempre affermato di non considerarsi di Forza Italia». Per cui «risponde lui di quello che dice». Rottura definitiva? «Io mi auguro che lui vada avanti in questo lavoro e alla fine ci si possa ritrovare insieme. Alla fine dobbiamo rinnovarci senza rottamarci e Parisi può darci una mano nella ricerca di persone nuove». Che tradotto, secondo fonti azzurre significherebbe: «Se Parisi, anche facendo un suo partito, ci porta il 4 per cento, ben venga! ». Insomma, con il Cav soprattutto, campione consumato del gioco su più tavoli, mai dire mai. Non è escluso che i due magari si siano già sentiti. Così come non è escluso un altro vertice con Salvini e Meloni. Certo Parisi ha reagito: «Io vado avanti anche senza Berlusconi, serve un governo liberal popolare e con la guida di Salvini si va a perdere. Lui vuole uscire dall'euro, i liberal popolari no. L'alternativa a Grillo dobbiamo essere noi non Renzi». E poi osserva: «Il No è nel merito, sarebbe facile dire Sì per conquistare una parte di elettori di centrodestra». Un segnale a Berlusconi? Il quale però con quell'endorsement ha giocato d'anticipo mettendo in imbarazzo gli elettori del Pd.Intanto, resta da chiarire il mistero buffo di quello che è successo nelle 24 ore tra sabato e domenica scorsa, quando, secondo un gossip che gira in Veneto, gli azzurri pro Bitonci (il sindaco leghista defenestrato a Padova anche da due consiglieri forzisti, ora commissariati) avrebbero invano tentato di contattare Parisi, forse dopo essersi consultati con Arcore, per raccomandargli di non andare dritto sparato contro la Lega proprio dalla stesa Padova. Sembra che i contatti si siano persi. Ma da lì si è accesa la miccia. E il Cav ora ribadisce che lui proprio davvero con il pasticciaccio veneto non c'entra niente. Una cosa sembra probabile: la sua volontà di andare fino alla fine della legislatura che si può evincere dalla frase in cui ricorda che dopo la vittoria del No «bisogna fare una riforma elettorale e andare a votare», ma aggiunge anche che serve «una riforma costituzionale condivisa». Secondo alcuni azzurri «in 13 mesi si può fare». E sulle ipotesi di larghe intese, Silvio ha le idee chiare: «Se vince il No sarà Renzi a doversi fidare di me», avrebbe detto ai suoi.E intanto magari sarà arrivato quell'erede che "Silvio" dice di non aver ancora trovato. E a proposito di Parisi non mancano indiscrezioni nel Palazzo secondo le quali «sarebbe stato più sponsorizzato da Confalonieri, Marina e Ennio Doris (presidente di Mediolanum ndr) che dallo stesso Silvio, il quale a volte si sente un po' schiacciato dalla sua stessa più intima cerchia».