Al netto di strumentalizzazioni e di usi politici delle polemiche, credo sarebbe sbagliato e miope sottovalutare fenomeni di disagio, frustrazione che qua e là vivono le forze di polizia e gli operatori della sicurezza. Svolgono un lavoro fondamentale, in condizioni spesso difficilissime. Le retribuzioni non sono certamente proporzionate ai rischi, alla durezza del lavoro, al valore civile e sociale dell’impegno per garantire la sicurezza dei cittadini. E spesso mancano perfino i mezzi necessari a svolgere questo lavoro. Ma questi sentimenti, comprensibili, non possono, non debbono far venire meno il rispetto di principi e regole - sostanziali, prima che formali - che informano la convivenza civile.

Se un ministro dell’Interno spicca via tweet dei mandati di cattura, viola fondamentali principi di elementare correttezza istituzionale e divisione dei poteri. Se dai social emette sentenze di colpevolezza preventiva, condanne senza processi, pene carcerarie di fine pena mai, si comporta come un dittatorello di uno staterello satrapico. Se attacca i giudici che applicano e interpretano leggi ( quelli che indagano la Lega sui 49 milioni sottratti, o quelli che liberano Carola Rackete con un opinione giuridica diversa da quella della Procura, o quelli che lo indagano sulla Diciotti....) colpisce un fondamentale presidio: quello dell’indipendenza della magistratura. Ed è incredibile, poi, che un ministro ( dell’Interno! ) decida di farsi salvare politicamente per sfuggire ai processi, come quello sulla vicenda Diciotti. O che violi con atti, gesti e parole, principi elementari di umanità, diritto del mare, diritto internazionale... Quando dovrebbe dare l’esempio, come ministro dell’Interno.

In molti probabilmente hanno pensato che il provvedimento restrittivo del Procuratore Patronaggio di Agrigento nei confronti della capitana della Sea Watch potesse essere eccessivo. Ma nessuno, che ha a cuore principi fondamentali dello Stato di Diritto, si è sognato di delegittimare il Procuratore. La differenza tra i sostenitori della democrazia e gli amici di modelli pericolosamente autoritari sta tutta qui. Nel rispetto delle prerogative dei poteri e dei corpi dello Stato. Noi stiamo dalla parte dei finanzieri, che tanto impegno rivolgono al contrasto di alcune piaghe di questo Paese: corruzione, evasione ed elusione fiscale, lotta al caporalato, tanto per citarne alcune. E comprendiamo anche certi sentimenti di questi giorni, di queste ore. Ma rispettiamo anche chi applica e interpreta le leggi, come i magistrati. Specialmente quelli che lavorano nelle trincee giudiziarie ( che sono la stragrande maggioranza) e non trafficano nomine e carriere. Leggi che esistono. E finché esistono vanno rispettate. Magari qualcuna, verso la direzione di una sempre più chiara certezza della pena, potrebbe anche essere aggiornata ( parlo di certezza di pena, ma pena che rieduchi, recuperi, risocializzi chi ha sbagliato, anche per non farlo tornare a delinquere. Anche così si difende la sicurezza: altro che armi a gogò e “buttare via la chiave”...). Ecco, con tutta la solidarietà e la gratitudine sincera che si deve alle Forze di Polizia ( che attendono ancora il contratto, tra l’altro), non bisognerebbe sbagliare bersaglio e magari sarebbe utile rivolgere critiche a chi, usando un alto presidio unificante del Paese, come il Viminale, come set per i suoi tweet in felpa, mina la convivenza civile, erode caposaldi della democrazia e della coesione sociale.